Caccia ai jihadisti

Dietro gli attentati a marca Stato islamico Provincia del Khorasan in Afghanistan, la galassia jihadista dagli epigoni di Raqqa ad Al Qaeda a decine di altre sigle. I rapporti coi Talebani

di Emanuele Giordana

Dopo gli attentati di questi giorni all’aeroporto di Kabul, cosa sappiamo veramente sullo Stato islamico nella provincia del Khorasan (Iskp), costola orientale del califfato di Raqqa nata sei anni fa sulla frontiera afgano pachistana? Poco, come poco sappiamo di quel che resta di Al Qaeda e delle relazioni tra queste formazioni e altre sigle jihadiste in un quadrante che va dall’Asia centrale al subcontinente indiano. Bon molto sappiamo anche delle relazioni tra i talebani e questa galassia in movimento zeppa di sigle minori salvo che – e questo è fuor di dubbio – la guerriglia diretta da mullah Akhundzada ha nell’Iskp il suo peggior nemico. Nato con una strategia internazionale e con l’idea di creare in Afghanistan un nucleo dell’emirato in contrasto con le tecnica “fuochista” dei qaedisti di formare cellule combattenti pronte a colpire anche il “nemico lontano”, l’Iskp ha fatto esplodere le sue bombe per mettere in difficoltà non solo i traditori del messaggio transnazionale del loro dogma (i Talebani sono nazionalisti e hanno sempre negato di voler esportare il jihad o di voler colpire fuori dal loro Paese) ma anche chi tratta coi diavoli occidentali. Colpendo l’aeroporto minano alla base l’obiettivo immediato su cui i Talebani puntano di più: fine di combattimenti e attentati, sicurezza, ordine.

Tradizionalmente assestato nelle province orientali di Kunar e Nangarhar, l’Iskp si è spostato gradualmente nelle province di Kunduz, Nuristan, Badghis, Sari Pul, Baghlan, Badakhshan e Kabul dove ha messo a segno attentati stragisti (come quello – non rivendicato – a Dasht-e-Barchi in maggio, in una scuola del quartiere della minoranza hazara) o l’8 giugno quando vennero uccisi 10 sminatori (attacchi erroneamente attribuiti inizialmente ai Talebani). Si sono dedicati soprattutto ad attentati anche perché le loro cellule si sono ridotte e sparpagliate in una tattica che per ora sembra aver rinunciato a creare una base territoriale allargata come era stato agli inizi. La potenza numerica è molto variabile e si è ridotta nel 2020: andrebbe dai 500 ai 1500 uomini (molti di più secondo altre fonti) nel quadro di una campagna di reclutamento di stranieri e talebani insoddisfatti dal processo negoziale di Doha o espulsi dal movimento. Il leader, Shahab al-Muhajir, che ha sostituito il precedente ucciso dai Talebani, collabora con lo sceicco Tamim a capo del cosiddetto Ufficio al-Sadiq che ha il compito di coordinare gli sforzi dell’Iskp con altre presenze legate al califfato nella regione. Capire da dove vengono i finanziamenti, dopo che la caduta di Raqqa ha significato la chiusura dei rubinetti, aiuterebbe a comprendere quali interessi internazionali il gruppo possa servire al di là di donazioni private o attività illegali.

Quanto ad Al Qaeda e al suo rapporto coi Talebani, secondo i rapporti delle Nazioni Unite, le due forze “rimangono strettamente legate e non mostrano indicazione di rottura…. Non si segnalano modifiche sostanziali in questo rapporto, diventato più profondo come conseguenza di relazioni personali di matrimonio e partnership condivisa nella lotta, cementati attraverso legami di seconda generazione”. La presenza combattente (alcune centinaia) in Afghanistan – dove si nasconderebbe anche l’ideologo al Zawahiri, malato e di cui non è chiaro se sia effettivamente ancora vivo – ha una strettissima relazione con Al Qaeda nel subcontinente indiano (Aqis) che ha personale afgano ma anche di Pakistan, India, Bangladesh e persino Myanmar. Al loro impiego anche nelle operazioni combattenti recenti si aggiungerebbero i reclutamenti di personale che viene da aree esterne (Asia centrale, Irak, Siria). In Afghanistan il rapporto tra Talebani e qaedisti è dunque un nodo irrisolto visto che l’accordo di Doha prevede la rescissione dei loro legami che adesso appaiono sostanzialmente sotterranei, in attesa che gli eventi consentano di tornare all’azione. Forse proprio ad uso delle forze occidentali i Talebani hanno emesso decreti che vietano l’ingresso di combattenti stranieri nel Paese ma proprio l’offensiva di agosto avrebbe messo in luce l’aggregazione anche con gruppi stranieri (in una galassia che va dal Movimento islamico dell’Uzbekistan al Movimento del Turkestan orientale) che hanno coi Talebani relazioni antiche: segmenti di un pianeta con decine di sigle e sotto sigle ad alleanza variabile e che nella maggior parte dei casi guardano ai Talebani e ad Al Qaeda.

Anche il gruppo jihadista pachistano Tehreek-e-Taleban Pakistan (Ttp), all’origine della formazione dell’Iskp, è una forza da tenere sotto osservazione per i legami con la vasta galassia jihadista dell’area e per le sue alleanze ballerine. Una fetta di scissionisti infatti abbandonò il gruppo per giurare fedeltà al califfato ma il vertice attuale si è ufficialmente congratulato con i Talebani per la recente vittoria.

In copertina combattenti dell’autoproclamata Provincia del Khorasan nel nord dell’Afghanistan

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