Corea del Nord: perché conviene lo status quo

Nonostante la politica di difesa e i nuovi test nucleari la situazione dell'area resta congelata e nuove trattative non sono in programma. L'analisi di Rosella Ideo

di Alice Pistolesi

Nuovi testi nucleari della Corea del Nord, parte di un vasto programma di difesa militare ma anche elezioni in vista in Corea del Sud, trattative di pace ad un punto morto mentre le sanzioni e la chiusura delle frontiere per la pandemia aggravano la penuria alimentare dei nordcoreani. Questi sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono a tenere alta la tensione nella Penisola coreana.

Proprio oggi, 14 gennaio, la Corea del Nord ha rivolto un avvertimento alla comunità internazionale  dopo le ulteriori misure sanzionatorie varate dagli Stati Uniti in risposta all’ultimo test effettuato da Pyongyang con un missile balistico ipersonico. Il Ministero degli Esteri ha quindi diffuso un comunicato attraverso l’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency”  in cui il Paese si dice pronto ad una “reazione certa e più forte”. “Se gli Stati Uniti – si legge nella nota – adottano una posizione così conflittuale, la Repubblica Popolare Democratica di Corea non avrà altra scelta se non adottare una reazione certa e più forte”.

Per capire gli scenari attuali abbiamo rivolto alcune domande a Rosella Idéo, studiosa di Storia Politica e Diplomatica dell’Asia Orientale e collaboratrice dell’Atlante delle guerre.

Che significato hanno i nuovi test nucleari condotti dalla Corea del Nord in questi primi giorni del 2022? C’è qualche nuovo scenario in vista?

I test nordcoreani hanno sempre avuto l’obiettivo di attirare l’attenzione internazionale (Stati Uniti In primo luogo) ma in questa fase ci sono anche altri elementi da tenere in considerazione: i giochi olimpici in Cina a breve e la scadenza del mandato del Presidente della Corea del Sud. Moon Jae in è sempre stato un forte sostenitore della pace con i nordcoreani, pace che non è mai stata firmata tra le due Coree insieme ai due belligeranti più importanti: Stati Uniti e Cina. Vige tuttora l’armistizio del 1953. Moon non potrà essere riconfermato visto che la legislazione prevede un solo mandato, ma pare che anche il suo partito progressista sia in serie difficoltà e possa non vincere le elezioni.

Un cambio al vertice con i conservatori con posizioni contrarie alla pace potrebbe complicare non poco lo scenario. Non dobbiamo dimenticare che quelle che vengono definite le “provocazioni” di Pyongyang sono le uniche armi che il Paese ha a disposizione per difendersi dalla “potenza di fuoco” degli Stati Uniti. Questo aspetto è emerso con estrema chiarezza nel 2017, quando l’ex presidente Donald Trump minacciò di distruggere la Corea del Nord con l’atomica. In quell’occasione, infatti, si è evidenziato come la politica di difesa di Pyongyang fosse fondamentale per proteggersi dallo stato più militarizzato del mondo. La politica difensiva di Pyongyang si basa principalmente sul nucleare, la cui sperimentazione è cominciata con nonno e padre ed è continuata con Kim Jong Un fin dalla sua ascesa al potere 

In questo senso va anche la politica nord coreana di riarmo?

Il programma di riarmo esiste anche se non sappiamo quanto sia stato effettivamente implementato. Pyongyang aveva da tempo annunciato una riforma della sua politica difensiva che prevede tra le altre cose lo sviluppo nucleare, comprese le testate tattiche e i missili ipersonici, che pare siano stati provati recentemente.

Cosa sappiamo della politica interna alla Corea del Nord? Il potere di Kim Jong-un è saldo?

Sappiamo pochissimo di quello che succede all’interno del Paese, visto che le frontiere sono state chiuse a causa della pandemia, si sono interrotti anche i collegamenti tra gli esuli in Corea del Sud e gli informatori interni, sono partiti i diplomatici stranieri e le Ong. Sappiamo quindi ancora meno di sempre. Secondo alcuni studiosi però, non ci sono rivolte in corso contro il potere in questo momento. Kim aveva iniziato negli anni pre pandemia una politica di modernizzazione che punta sull’appoggio di una generazione di giovani in sostituzione dei vecchi burocrati dell’epoca paterna. Resta il fatto che il regime dei Kim è un regime autocratico che reprime qualsiasi forma di dissenso e impedisce la libertà di espressione.  Kim ha cercato di provvedere alle necessità basilari della popolazione, ma la Corea del Nord è il Paese più sanzionato del mondo. Sanzioni che hanno portato la popolazione allo stremo e che puntavano a suscitare opposizione e rivolte. Rivolta di cui però per il momento non si vede alba.

La situazione di status quo è quindi destinata a durare ancora a lungo?

La verità è che questa situazione di guerra a bassa intensità (non sono mancati incidenti anche cruenti) che prosegue dal 1953 fa comodo a tutti. Fa comodo al Giappone che altrimenti si ritroverebbe ad avere a che fare con un Paese economicamente e militarmente più forte. Fa comodo alla Cina perché in caso di implosione del regime non riuscirebbe ad arginare i milioni di rifugiati che si riverserebbero nelle sue regioni limitrofe destabilizzandole e si troverebbe nel cortile di casa gli Stati Uniti. E il perdurare della divisione fa ovviamente comodo agli Stati Uniti che sono legati da un’alleanza militare con la Corea del Sud in cui mantengono una salda presenza militare. La pace nella Penisola avrebbe dato un importante contributo anche nell’ottica della politica di riarmo nell’area dell’Asia e del Pacifico, ma ormai siamo già oltre. La corsa agli armamenti va già alla grande grande.

Qual è stata la politica del presidente usa Joe Biden fino ad oggi sulla Corea?

Biden ha spostato il baricentro della politica estera americana nell’Asia-Pacifico. Politica e strategia già iniziata da Obama (Pivot to Asia). L’alleanza stipulata dagli Stati Uniti (Aukus) con Regno Unito e Australia in funzione anticinese con la commessa multimiliardaria di sottomarini atomici è l’epitome alla corsa degli armamenti nucleari. La penisola coreana resta tecnicamente in guerra e divisa. A meno di sviluppi oggi imprevedibili, la Corea del Nord è a tutti gli effetti l’ultima vittima della guerra fredda. Anche la trattativa per diminuire le sanzioni che colpiscono la popolazione e non l’elite del paese è a un punto morto. Con la fine del mandato di un presidente illuminato come Moon non ci sono molte speranze di rivedere nel medio periodo la parentesi di distensione con gli incontri cordiali fra i leader delle due Coree del 2018.

*In copertina Photo by Thomas Evans on Unsplash

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