EZLN: un’idea di mondo diverso possibile – I PARTE

In un mondo che cambia la rivoluzione dell'EZLN è elemento continuativo, seppur in trasformazione, che resta saldo nel pensiero e nella pratica anti-capitalista.

Di Andrea Cegne

I PARTE- In un mondo che cambia la rivoluzione dell’EZLN è elemento continuativo seppur in trasformazione che resta saldo nell’elaborazione di un pensiero, e di una pratica, anti-capitalista composta da una decisiva visione post coloniale e anti patriarcale. Tanti no che si materializzano in un grande “si” – l’autonomia indigena – un’idea di mondo diverso possibile. L’EZLN ha dovuto affrontare in questi 40 anni di vita, e 30 di insurrezione, tanti cambiamenti. Quelli interni, il primo e più importante è aver modificato la traiettoria rivoluzionaria marxista-leninista, con cui il gruppo fondatore entrò nella Selva Lacandona il 17 novembre del 1983, plasmandola e mescolandola con la cosmogonia indigena maya.

Poi ci sono state le morti in guerra, le morti per età, le morti per attacchi paramilitari, i cambi di ruolo, le nuove generazioni, e gli scontri tra correnti. Quelli esterni, i cambi di governo – ben sei – poi le diverse forme di contro insurgencia da quella militare del 1994 a quella che somma crimine organizzato, guerra di bassa intensità, paramilitarizzazione, e politiche sociali dell’oggi. In questo scenario è importante ricordare che se tra il 1983 ed il 1994 in Abya Yala esistevano diverse guerriglie e pulsioni rivoluzionarie oggi l’EZLN è di fatto restato solo. Certo l’idea di autonomia indigena, non sospinta da una lotta armata, è stata ripresa e applica in diversa modalità in mezzo Messico con il caso, forse, più interessante di Cheran e del Michoacan.

La rivoluzione zapatista si basa tutt’ora sull’essere sia civica che militare, dove l’ala militare resta in tutto e per tutto organizzata come ogni esercito ovvero in maniera verticale. Allo stesso tempo l’esercito è il luogo di formazione politica, è lo stesso esercito che ha deciso di mettere in discussione l’uso della violenza già nella sua fase di clandestinità. Così dal 12 gennaio 1994 è elemento di tutela delle comunità però di fatto inattivo dal punto di vista militare. Gli scontri armati dopo l’apertura del dialogo di pace sono pochissimi e di fronte alle provocazioni subite in questi 30 anni la risposta non è praticamente mai stata quella armata. Una rivoluzione complessa, una rivolta che è iniziata nel segno del fuoco e della morte e si è presto spostata nel campo della parola.

Proprio così un movimento armato e militare è diventato simbolo dei movimenti non violenti così come dei movimenti anti-globalizzazione di mezzo mondo. Un movimento che ha rilanciato l’insorgenza indigena che nel continente americano si articolava in resistenze locali spesso non organizzate e quasi sempre invisibilizzate ma allo stesso tempo erano parti di un fervente e crescente dibattito capace di alimentare un nuovo corso e una rivisitazione del pensiero post-coloniale e de-coloniale.

La rivoluzione Zapatista ha dato certamente, anche nella sua capacità di accompagnare l’azione politica con la produzione teorica, un notevole stimolo a tali pensieri critici per quanto formalmente il mondo accademico non lo riconosca. Anomalie che pennellano la particolarità unica dell’esperienza neo-zapatista, dove la parola, la radicalità dei fatti, l’ostinazione della creazione di un mondo capace di contenere molti mondi ha fatto si che odio, rancore, e violenza lasciassero il passo alla costruzione di alternative, ponti di pace, e proposte di dialogo…..”senza perdere la tenerezza” e senza fare passi indietro dalla propria idea. La “geometrica potenza” avanzata dall’EZLN si è esplicitata i 1 gennaio 2024, nel discorso del Subcomandante Moises, capo militare e portavoce dell’organizzazione dal 2013. Parole distanti dalla poetica targata Marcos, una visione pragmatica della realtà, un discorso in Tzeltal prima che in castigliano, un discorso breve e netto più rivolto all’organizzazione e al mondo indigeno che alle internazionaliste e internazionalisti che hanno partecipato all’atto di festeggiamento dei primi 30 anni di rivolta. In tante e tanti si sarebbero aspettati altro, ma l’EZLN è da sempre ostile alla logica dell’evento per l’evento. 10 anni fa per il ventennale del levantamiento non ci fu nessuna festa centrale ma tra il secondo e terzo turno dell’”escuelita zapatista” nei cinque caracoles (oggi 12) ci furono iniziative locali, aperte, senza orazioni “ufficiali”.

L’avvicendamento da Marcos/Galeano a Moises non è solo simbolico ma fattivo: dalla forza della parola e della poesia alla praticità e nettezza indigena. Marcos rappresenta tutt’ora l’ala avanguardista delle Fuerzas di Liberacion Nacional che dopo la grande repressione degli anni ’70 si sono riorganizzate e hanno lanciato l’epopea neo-zapatista. Moises è volto indigeno che si è unito all’organizzazione ben dopo quel giorno di novembre del 1983, è così il simbolo di una transizione che non si allontana dal mandato “originario” ma organizza una nuova scuola di governo della struttura e quindi del processo rivoluzionario. Devo ammettere che leggendo i diversi comunicati con cui è stato preparato il 30ennale ero pronto alla nomina della prima donna subcomandante dell’EZLN, illusione forse costruita a partire dall’apparente “declassamento” a Capitano (ruolo che aveva già nel 1984) di Marcos. Una mossa che mi sembrava nel solco della storia zapatista, primo esercito della storia con oltre il 30% di donne, e della sua attenzione alla questione di genere che prende forma a partire dalla “Legge rivoluzionaria delle donne”. Sarebbe stata anche una “risposta” alla politica istituzionale messicana che rivendica con forza che alle prossime elezioni del 2 giugno le sfidanti alla presidenza saranno due donne…

Segue…

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