Giornalisti: vita dura anche nei Paesi in pace

Aumenta in quasi tutto il mondo la violenza sui cronisti che indagano contro il potere. E la situazione peggiora in Usa, e in tutte le grandi potenze. Il Rapporto annuale di Reporters sans Frontieres lancia un allarme sullo stato della democrazia nel mondo

di Maurizio Sacchi

Nel recente Rapporto globale annuale di Reporters sans Frontieres si dà conto del macabro conteggio degli omicidi e delle violenze subite dai giornalisti in tutti i Paesi del mondo. Nel commento iniziale, si dice che il rapporto : “…dimostra che è stato innescato un clima intenso di paura, che è pregiudizievole per un ambiente di informazione garantita. L’ostilità nei confronti dei giornalisti espressa da leader politici in molti Paesi ha provocato atti di violenza sempre più gravi e frequenti, che hanno alimentato un livello senza precedenti di paura e pericolo per i giornalisti”.

La classifica di Reporters sans Frontieres è utile soprattutto nel segnalare i cambiamenti -in positivo o in negativo- in un determinato Paese. Per comprendere se un allarme-libertà di stampa sia fondato. I dati diffusi sembrano segnalare di sì, e di qui l’appello di Christophe Deloire, segretario generale di RSF : “Se il dibattito politico scorre furtivamente o apertamente verso un’atmosfera di guerra civile, in cui i giornalisti sono trattati come capri espiatori, allora la democrazia è in grave pericolo. Arrestare questo ciclo di paura e intimidazione è una questione della massima urgenza per tutte le persone di buona volontà che apprezzano le libertà acquisite nel corso della storia”.

L’Italia, con Salvini, ha il dubbio onore di essere citata come esempio negativo nell’introduzione del rapporto : “…In questo clima di diffusa ostilità, è necessario coraggio per continuare a indagare sulla corruzione, l’evasione fiscale o il crimine organizzato. In Italia (perde 3 posizioni, e va al 43° posto), il ministro degli Interni e leader del partito della Lega Matteo Salvini ha suggerito che la protezione della polizia del giornalista Roberto Saviano potrebbe essere ritirata dopo aver criticato Salvini.”

Erdogan: il più grande carceriere di giornalisti del mondo?

Il Medio Oriente e il Nord Africa continuano a essere i più difficili e pericolosi per i giornalisti. Nonostante una leggera diminuzione del numero di giornalisti uccisi nel 2018, la Siria (174 °) continua ad essere estremamente pericolosa per il personale dei media, così come lo Yemen (in calo di una posizione, ora al 168 ° posto). A parte le guerre e le grandi crisi, come in Libia (162 °), un’altra grande minaccia incombe sui giornalisti della regione: quella di arresti arbitrari e imprigionamenti. L’Iran (6 posizioni giù, al 170esimo) è uno dei più grandi carcerieri di giornalisti del mondo. Dozzine di giornalisti sono detenuti anche in Arabia Saudita, in Egitto (163 °) e Bahrain (in calo a 167), molti dei quali senza processo. E quando vengono processati, il procedimento si trascina interminabilmente, come in Marocco (135 °). L’unica eccezione a questo quadro cupo è la Tunisia (15 posizioni in più, al 97 °), che ha visto una grande diminuzione del numero di violazioni.

L’Europa dell’Est e l’Asia Centrale occupano il secondo posto nell’indice, posizione che hanno mantenuto per anni. Di certo, è stato l’indicatore del quadro giuridico che è peggiorato di più. Più della metà dei paesi della regione sono ancora classificati vicino o sotto il 150 ° nell’Indice. I pesi massimi regionali, Russia e Turchia, continuano a perseguitare i media indipendenti. Il più grande carceriere al mondo di giornalisti professionisti, la Turchia, è anche l’unico paese al mondo in cui un giornalista è stato processato per i suoi rapporti su Paradise Papers (i documenti scoperti da un hacker e resi pubblici dai giornasli il 5 novembre 2017, secondo cui Facebook, Twitter, Apple Inc., la Walt Disney Company, Uber, Nike, Walmart, Allianz, Siemens, Global Vantedge, McDonald’s e Yahoo! sono tra le società che possiedono società offshore, come anche Allergan, il produttore di Botox. Secondo l’Express Tribune, “Apple, Nike e Facebook hanno evitato miliardi di dollari di tasse usando società offshore”).

E gli Stati uniti? Nelle parole del rapporto : “…come risultato di un clima sempre più ostile, che va ben oltre i commenti di Donald Trump, gli Stati Uniti (48 °) sono scesi di tre posizioni nell’Indice di quest’anno. e il clima mediatico è ora classificato come “problematico” (arancione). Mai prima d’ora i giornalisti statunitensi sono stati sottoposti a così tante minacce di morte o si sono rivolti così spesso a società di sicurezza private per la protezione. L’odio verso i media è ora tale, che un uomo è entrato nella redazione di Capital Gazette ad Annapolis, nel Maryland, nel giugno 2018 e ha aperto il fuoco, uccidendo quattro giornalisti e un altro membro dello staff del giornale. Il bandito aveva ripetutamente espresso il suo odio per il giornale sui social network prima di agire alla fine sulle sue parole.”

Nella “più grande democrazia del mondo”, l’India, (giù di due posizioni, al 140 °posto), dove , nelle campagne di molestie online, i critici del nazionalismo indù sono etichettati come “anti-indiani”, sei giornalisti sono stati uccisi nel 2018. E anche nel Brasile di Bolsonaro le violenze e gli omicidi di giornalisti sono in aumento. Ancor peggio fanno il Venezuela di Maduro e il Nicaragua di Ortega, rispettivamente al 148° e 114° posto nela classifica mondiale. Mentre il Messico, che con 10 giornalisti uccisi nel 2018 è uno dei Paesi più pericolosi per i reporter, ha vista una tregua nelle violenze, probabilmente grazie al clima di dialogo instaurato dal presidente Lopez Obrador.

La Norvegia si conferma il luogo più sicuro per l’informazione, seguita dalla Finlandia; mentre il Turkmenistan occupa il 180° e ultimo posto. Si potrebbe dire già da questo che informazione e democrazia vanno di pari passo, e che non ci può essere l’una senza l’altra. Che le condizioni sociali, culturali ed economiche della Norvegia non siano alla portata -almeno immediata- del Turkmenistan è evidente. Occorre sempre ricordare che le condizioni economiche di un Paese pesano su tutti gli aspetti della società civile.

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