Il Made in Italy che parla di guerra

Sea Future è la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie in mare. Ma oggi è un palcoscenico per le principali aziende del settore militare 

di Luciano Bertozzi

Decine di Marine Militari, fra cui quelle di alcuni regimi liberticidi e in stato di conflitto, soprattutto di Africa e Medfio oriente hanno partecipato all’esposizione Sea Future, all’Arsenale Navale di La Spezia, inaugurata nei giorni scorsi dal Ministro della Difesa Crosetto e conclusasi l’8 giugno. Fra i presenti vi sono, infatti, le Marine di Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Israele, Somalia, Pakistan, Turchia ecc. L’esposizione, nata nel 2009 come “la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare”, è stata però trasformata nell’unica mostra militare in Italia in cui gli operatori sono le principali aziende del settore militare (Fincantieri e Leonardo che sponsorizzano anche l’evento) e la Marina Militare.

La mostra  è stata contestata da un cartello di associazioni Riconvertiamo SeaFuture, che ne ha chiesto il ritorno allo scopo iniziale, manifestando nella città ligure. La fiera, quindi, ha preso il posto della Mostra Navale di Genova vetrina dell’industria militare navale “made in Italy” negli anni Ottanta e chiusa grazie al movimento pacifista. La trasformazione è avvenuta anni fa, nel 2014 con la ministra della difesa Pinotti del Partito Democratico e all’indomani dell’approvazione della Legge navale che ha stanziato alcuni miliardi di euro pubblici per rinnovare la nostra flotta. “Da lì l’idea – ha ricordato Giorgio Beretta su un quotidiano – di vendere le navi dismesse dalla Marina militare ai «Paesi emergenti», soprattutto dell’Africa e del Medio Oriente che – come riportava il comunicato ufficiale di una precedente edizione – «potrebbero essere interessati all’acquisizione delle unità navali della Marina militare italiana non più funzionali alle esigenze della Squadra navale, dopo un refitting effettuato da parte dell’industria di settore». Un salone dell’usato militare, dunque, ben lontano dall’innovazione e dalla sostenibilità”.

Del resto il Governo Meloni sta puntando molto per sviluppare l’economia sulle armi made in Italy e recentemente ha tolto le limitazioni all’esportazione verso l’Arabia Saudita di alcuni materiali di armamento per prevenirne l’utilizzo nella guerra in Yemen. Anche importanti esponenti del mondo della cultura hanno partecipato all’evento e l’attore Giorgio Giannini ha presenziato sul ponte della nave Trieste la nuova portaerei italiana, impegnata nelle attività di allestimento e consegna nello stabilimento Fincantieri di Muggiano. La commistione tra militare e civile, coinvolge impropriamente anche settori della ricerca scientifica e dell’istruzione, che dovrebbero invece rimanerne ben distinti. E’ evidente, stante i problemi derivanti dal cambiamento climatico, che il futuro dell’industria navale e del mare non possono continuare a dipendere dalla produzione e dal commercio di sistemi militari sostenuti sottraendo risorse al settore civile. “Il Mediterraneo, deve ritornare ad essere – sottolineano i pacifisti di Riconvertiamo Seafuture – un ponte di incontro tra i popoli e le culture, tra i centri di ricerca e tutte le realtà interessate a promuovere la tutela del mare, la sostenibilità ambientale, il turismo responsabile e lo sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti delle persone e dei popoli”.In pratica avviene tutto il contrario di quanto ha previsto la legge 185 del 1990, che nel disciplinare rigorosamente il commercio delle armi aveva vietato le vendite ai Paesi belligeranti o retti da regimi liberticidi e ha anche previsto “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”.

Solo così sarebbe possibile salvaguardare i lavoratori liberandoli dal ricatto occupazionale. Come ha dimostrato la pandemia Covid 19 e l’alluvione dell’Emilia -Romagna, la sicurezza di una popolazione non deriva dalle Forze Armate, bensì da un sistema sanitario pubblico efficiente e da un sistema di protezione civile capace di contrastare gli eventi estremi sempre più distruttivi. Inoltre dirottare le scarse risorse verso il settore militare impedisce il rafforzamento della lotta al cambiamento climatico e della sanità pubblica. Non solo, vendere armi a Paesi che alimentano i venti di guerra in tutto il Mondo costituisce una politica irresponsabile che vanifica la nostra Costituzione, senza creare occupazione, ma produce solo lutti e distruzioni. Purtroppo anche la UE, che caldeggia l’uso dei fondi del PNRR per produrre le armi e sostiene i regimi che impediscono l’immigrazione, ha tradito i suoi scopi istitutivi, essendo nata proprio per evitare la guerra in Europa.

In copertina il destroyer Andrea Doria della MM italiana. Foto U.S. Navy (cropped)

Tags:

Ads

You May Also Like

Rotta balcanica: il lieto fine non è in Bosnia

Violenze e pessime condizioni umanitarie per i migranti anche sulla nuova frontiera della rotta. La denuncia di Medici senza Frontiere

Alloggi di (s)fortuna, violenza sulle frontiere e situazione al limite della crisi umanitaria. Sono ...

Se anche i buddisti sono violenti

di Ilario Pedrini «Non è il momento per la calma. È il momento di ...

Mondiali: scarpette e diritti

La Campagna Abiti Puliti e la richiesta di un negoziato con Adidas che dia garanzie a chi lavora per l'azienda presente alla World Cup in Qatar 

La campagna Abiti Puliti, che si occupa del lavoro esternalizzato delle firme dell’abbigliamento e ...