di Raffaele Crocco
Ci risiamo. Ci risiamo con quelli che tentano di fare del 25 Aprile la festa di tutti, dei buoni e dei cattivi. Cerchiamo di capirci, ancora una volta: il 25 Aprile non è una festa della riconciliazione. No, è la festa degli antifascisti, di tutti gli antifascisti, solo degli antifascisti. E’ esclusivamente la Festa di chi pensa che il fascismo sia stata la peggiore invenzione italiana nei secoli, assieme alla mafia. E’ la festa di chi sa con certezza che il nazismo è stata l’ideologia più nefasta, criminale e vergognosa che gli esseri umana abbiano concepito.
E’ la festa di chi non ignora che il crapone pelato e nero che arringava da Piazza Venezia non era un grande statista, ma un vigliacco criminale. Uno che aveva paura ad andare nella Roma conquistata dalle sue squadracce nell’ottobre del ’22: pensava che il re lo volesse far arrestare, invece di dargli il governo. Nella capitale arrivò comodamente in treno, da Milano, due giorni dopo e viaggiando in vagone letto. Uno che 23 anni dopo, nell’aprile del 1945, quando vide che tutto era perduto, tentò di scappare in Svizzera mettendosi addosso il cappotto e l’elmetto di un soldato tedesco.
Un bel tipo di eroe, che come tutti i vigliacchi infarciva il mondo di miti eroici. C’è da chiedersi cosa sarebbe diventato Mussolini, avesse avuto una play station a disposizione. Il 25 Aprile resta la festa esclusiva di chi pensa che l’antifascismo sia un valore unico e universale. C’è una differenza grande fra chi morì da partigiano e chi morì da repubblichino. C’è la stessa differenza di chi muore per amore e di chi muore per odio. La scelta di liberare il Paese dagli occupanti nazisti e da chi li serviva sotto la bandiera di uno stato fantoccio, fu un atto d’amore estremo. Fu la scelta di chi amava la vita. La decisione di vestire la divisa repubblichina fu un gesto d’odio estremo, portato all’estreme conseguenze.
La Repubblica Italiana è figlia solo di una parte di quei morti. L’altra parte voleva altre cose: voleva un Mondo ripulito da ebrei, omossessuali, rom, oppositori. Voleva un sistema in cui le donne fossero, se andava bene, “l’angelo della casa” e le fattrici delle future, pure, generazioni. L’altra parte immaginava un Pianeta dominato dalla razza bianca con la forza delle armi e l’esaltazione del guerriero.
Questi architravi della mistica fascista e nazista non sono mai stati rinnegati. Non abbiamo sentito alcun erede più o meno dichiarato delle camicie nere rinnegare questi punti. Dal 1945 sono ancora lì, intenti a mettere bombe sui treni e nelle piazze per creare confusione, a seminare paure e rancori, a dire che il diverso resta diverso e va disprezzato, combattuto, abbattuto.
Per tutto questo, il 25 Aprile resta una Festa di parte. Non una Festa dei comunisti, come qualcuno ama ripetere autisticamente, ma di tutti coloro – democratici, liberali, cattolici e certo, sì, socialisti e comunisti, ma anche anarchici, monarchici – che hanno amato e amano l’idea di poter avere un Mondo migliore, più giusto e intelligente. Un Mondo in cui la pace diventa possibile, perché costruita con la fatica della democrazia, del confronto, della giustizia, del diritto.
In questo ci riconosciamo anche noi dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo. In questo anche noi restiamo partigiani, cioè di parte: schierati sempre e comunque dalla parte di chi vuole ostinatamente la Pace.