Indonesia alle urne. Tra polemiche e spaccature

Oltre 200 milioni di indonesiani scelgono domani il Presidente e i membri del legislativo. Dall'inviato nell'arcipelago

di Emanuele Giordana da Kupang (Indonesia orientale)

Se il Presidente indonesiano uscente Joko “Jokowi” Widodo avesse voluto uscire dal suo secondo e ultimo mandato con la statura di chi ha saputo preparare una transizione morbida in nome dello sviluppo e dell’unità del suo Paese, tutto si potrà dire tranne che ci sia riuscito. Dopo essere stato eletto per due volte consecutive con una popolarità costante e una fama da uomo integro, capace e dedito alla sua nazione, l’ormai ex Capo di Stato indonesiano si era guadagnato anche una buona statura internazionale, benché i suoi tentativi di mediazione tra Mosca e Kiev fossero falliti e la presidenza indonesiana dell’Asean non abbia potuto fare molto contro i golpisti birmani.

Ma giunto alla vigilia della tornata elettorale del 14 febbraio, in cui oltre alla presidenza si vota anche per il legislativo  e l’apparato amministrativo a vari livelli, Jokowi ha fatto una serie di scelte controverse che hanno macchiato, se non la sua popolarità, l’ultima fase del suo mandato. Scegliendo di sostenere, seppur sotto traccia, l’ascesa a candidato presidente del suo ex rivale Prabowo Subianto in ticket con Gibran Rakabuming Raka, sindaco di Surakarta, Jokowi è riuscito a spaccare il suo partito – Pdi-P che sostiene un altro candidato – far riemergere il nepotismo – Gibran è infatti il suo primogenito – e polarizzare il Paese in due fazioni: quelli che sostengono Prabowo – dato dai sondaggi vicino a superare il 50% e addirittura oltre – e quelli che stanno con il candidato ufficiale del Pdi-P – Ganjar Pranowo – o con il terzo incomodo, Anies Baswedan.

Non è detto però che la partita si concluda al primo turno e, in quel caso, ci saranno quattro mesi per riflettere e – come suggerisce un diplomatico occidentale che preferisce restare anonimo – “sistemare le cose in modo che tutti siano contenti”. Ipotesi complicata, sia che vinca per un soffio Prabowo, sia che ci si debba accordare per combatterlo, visto che Gibran e Anies – dati entrambi sopra il 20% – non vanno molto d’accordo. “La politica indonesiana per noi è indecifrabile – continua il diplomatico – ma poi le cose si aggiustano sempre perché la gente non ha più voglia di scontro ma preferisce credere nel futuro”. Evitare lo scontro è quanto aveva fatto Jokowi dopo le presidenziali del 2019, quando il rivale Prabowo contestò il risultato e sfidò Jokowi nelle piazze. Per disinnescarlo, il presidente lo integrò nel suo esecutivo dandogli niente di meno che il dicastero della Difesa.

Le acque si calmarono e i due hanno filato tanto d’amore e d’accordo che Jokowi ha poi deciso – seppur non ufficialmente – di spingere Prabowo e suo figlio a correre in ticket come presidente e vice. Forse immaginando una transizione morbida e, soprattutto, la possibilità di continuare a guidare da dietro le quinte il suo ambizioso progetto di trasformare l’Indonesia nella potenza che numeri, superficie e risorse dovrebbero garantirle: un mercato interno di 270 milioni di consumatori distribuiti su 17mila isole sedute su gas, petrolio, nichel, legname, terre rare e sul polmone verde più vasto del pianeta con l’Amazzonia. Sarà così?

Prabowo è un personaggio controverso. Viene da un passato su cui gravano ombre mai realmente dissipate. Quando nel 1998 era a capo della Kopassus, l’unità speciale dell’esercito, è stato accusato di aver fatto sparire degli studenti che contestavano il regime dell’ex dittatore Suharto, di cui Prabowo aveva sposato una figlia. Lui lo ha ammesso, sostenendo però che “eseguiva ordini”. Poi, sempre da soldato, è stato uno dei protagonisti della repressione del movimento indipendentista di Timor Est, il piccolo Stato ora sovrano che durante la dittatura di Suharto dovette subire il pugno di ferro di Giacarta che non voleva mollare l’ex colonia portoghese. Infine l’ombra di quel nome, Suharto, un dittatore spietato con gli oppositori e che ai suoi amici, figli, nipoti e ovviamente generi aveva garantito la spartizione delle risorse indonesiane, che si trattasse di fossili, piantagioni, impianti industriali o sigarette al chiodo di garofano. Prabowo ha fatto di tutto per far dimenticare quel passato e sembra che ci sia riuscito. Aiutato da qualche abile spin doctor ha fatto campagna soprattutto sui social, reinventandosi come un vecchio padre comprensivo in grado di farsi coccolare anche dalla generazione Z.

Il settantaduenne Prabowo balla durante i suoi comizi, privilegiando l’immagine ai contenuti: è rassicurante, pacioso e “gemoy”, come dicono qui: carino. Facebook, Instagram e TikTok sono le sue armi preferite assieme al traino di Jokowi, perché tutti sanno – pur disapprovando – che dietro la candidatura Prabowo c’è la scelta di Joko Widodo, l’uomo che ha trasformato il Paese; che ha creato il welfare state, una sanità pubblica diffusa e che ha fatto il possibile per attrarre investimenti, cosa gradita soprattutto ai cinesi. Prabowo, un uomo di destra che ha un passato anti-Pechino, ha cambiato idea e sposato la “neutralità transnazionale” di Jokowi che cerca di piacere ai cinesi ma anche agli Stati Uniti, al Giappone, all’Australia e a Singapore.

La Cina, del resto, è sempre sullo sfondo. E nemmeno tanto, dopo che il candidato Anies Baswedan ha tirato il sasso nello stagno dicendo apertamente che questa storia della neutralità non funziona più e che è arrivata l’ora di schierarsi sulla base dei “valori”. In una parola – ma senza dirlo – scegliendo quelli del blocco occidentale. Questa scelta di Anies non è indigesta solo al team di Prabowo. Anche Ganjar Pranowo – del Partito Democratico di Lotta (Pdi-P) – non vuole cambiare rotta rispetto all’equidistanza scelta in questi anni da Jokowi che ha visto l’Indonesia far gli occhi dolci a Pechino, riabilitando nell’arcipelago il nemico dell’era Suharto, autocrate schierato fedelmente con le diverse Amministrazioni americane, baluardo di valori e principi violati però di continuo dalla sua dittatura personale. Anies è il cavallo scelto anche da una parte di ex fedeli al Pdi-P, partito amato da una base fedele all’eredità del secolarismo nazionalista venato di socialismo di Sukarno, il padre della nazione. Benché in Indonesia la religione non si possa ignorare, il Pdi-P è il più laico tra i grandi partiti indonesiani e la sua presidente, Megawati “Mega” Sukarnoputri, la garanzia che la tradizione sukarnaina non si stia annacquando.

Ma anche Mega – che la stampa locale, giocando col suo nomignolo, ha definito una “megalomane” – non solo non ha saputo gestire l’allontanamento di Jokowi dalle scelte del partito, ma aveva in mente di candidare sua figlia Puan Maharani, già speaker del Parlamento. Anche se poi non se ne è fatto nulla, il partito, con tutti questi diversi cavalli su cui puntare, è rimasto disorientato. Per molti di votare Prabowo non se ne parla. Molti altri invece finiranno per farlo. Chi, se non in parte, non si è spaccato sul sostegno a questo o quel candidato è invece la Muhammadiya, l’organizzazione islamica “modernista” e rigorista che conta nel Paese qualcosa come cinquanta milioni di adepti. Prabowo è sempre stato nelle sue corde sin da quando era contro Jokowi anche se questa volta non c’è stato un appoggio pubblico. Che non è arrivato nemmeno dalla Nahdlatul Ulama (Nu) che di adepti ne conta cento milioni, ha un peso importante e, pur dichiarandosi neutrale, è sempre stata vicina ai democratici del Pdi-P. È inoltre più tollerante della Muhammadiya e ha sempre visto di buon occhio le correnti più progressiste della politica indonesiana oltre ad aver avuto addirittura un presidente della Repubblica in Abdurrahman Wahid, che della Nu era stato uno degli artefici maggiori e che aveva fondato il Partito del Risveglio Nazionale (Pkb).

Ma adesso Abdul Muhaimin Iskandar, detto Cak Imin, candidato vice con Amien Baswedan, è proprio un uomo del Pkb il che ha creato non poca confusione. Nel suo partito e nella Nu. Più di 205 milioni di aventi diritto voteranno il 14 febbraio. Meno del 17% della popolazione ha un’istruzione di livello universitario e Millennials e Generazione Z costituiscono più della metà degli elettori (si vota a 17 anni). Molti di loro fanno parte di quei 167 milioni di indonesiani che utilizzano i social media e che costituiscono il terzo utilizzatore di Facebook al mondo. Il conteggio finale potrebbe richiedere più di un mese ma le prime proiezioni già il 15 febbraio diranno se Prabowo – dunque Jokowi – avrà vinto la partita o dovrà aspettare il ballottaggio.

Questo articolo è uscito anche su  IspiOnline

Nelle foto, cartelloni elettorali: Prabowo con Jokowi  e sotto un manifesto del Pdi-P con Sukarno in alto a sn

 

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