Il Turkmenistan è un”Economia Potemkin”, con una facciata in marmo e indicatori economici ufficiali rispettabili ma che in realtà non sono attendibili mentre gli spacci statali sono strettamente regolamentati e mascherano un’economia nera enorme e caotica in una situazione di forte penuria alimentare. Lo dice il rapporto “Spotlight on Turkmenistan” del centro studi britannico “The Foreign Policy Centre”.
Secondo il rapporto si tratta di un Paese ad alto rischio anche se è noto per le abbondanti riserve di gas. In realtà l’indagine rivela una profonda crisi economica marcata da iperinflazione e da una diffusa penuria di cibo. Crisi economica che ha portato a una repressione del dissenso sempre più dura , accompagnata dal culto della personalità del suo leader – Gurbanguly Berdimuhammedow (nell’immagine a destra con l’allora presidente russo Medvedev poco dopo il suo insediamento) , presidente e capo del governo – che invece cresce a dismisura.
I rischi potenziali per gli investitori includono infatti – dice il think tank – i “capricci” del presidente (al potere dal 2007), che portano a comportamenti arbitrari; corruzione endemica, insicurezza del titolo legale e burocrazia; un alto rischio di mancato pagamento di beni o servizi; mancanza dello stato di diritto e di un sistema giudiziario indipendente; rischi reputazionali nell’essere associati a gravi violazioni dei diritti umani.
La ricerca documenta infatti una vasta gamma di violazioni dei diritti umani in Turkmenistan, e pone particolare attenzione alle questioni del lavoro forzato, degli attivisti “scomparsi” nel sistema carcerario e delle restrizioni sull’indipendenza di giornalisti e attivisti per i diritti umani. La ricerca sostiene infine che l’Unione europea (UE) dovrebbe adottare la proposta del parlamento europeo sui parametri di riferimento in materia di diritti umani per il Turkmenistan e che tali principi dovrebbero essere applicati da tutte le istituzioni internazionali che lavorano con il Paese.
Tra le diverse misure si auspica che la comunità internazionale spinga per una presenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) per mappare, monitorare e ridurre l’estensione del lavoro forzato.
(Red/E.G.)