La grazia “cosmetica” ad Aung San Suu Ky

Carota e bastone: la giunta militare birmana rinnova di altri sei mesi lo stato di emergenza

Il National Unity Government, (Nug -governo ombra birmano), ha subito bollato come un’operazione “cosmetica” la scelta della giunta militare al potere, che ha esautorato Aung San Suu Kyi e il suo partito nel febbraio 2021, di perdonare la Lady condonandole 6 dei 33 anni che l’ex leader birmana, Nobel per la pace nel 1991, deve scontare. Cosmetica perché si tratta di cinque condanne delle 19 già subite e poiché le restano comunque 27 anni di carcere da fare, una donna di 78 anni non può che immaginarsi fuori di prigione solo dopo la morte. In realtà la cosmesi riguarda un’altra notizia resa nota a fine luglio: il prolungamento dello Stato di emergenza per la sesta volta in violazione della Costituzione. Già rinnovato 5 volte sino al 31 luglio scorso, l’ennesima decisione sullo stato di emergenza rinvia nuovamente sine die le elezioni che la giunta sarebbe obbligata a tenere secondo i dettami di una Suprema carta scritta proprio dai militari nel 2008.

Con Aung San Suu kyi (perdonata in 5 casi) sono stati “graziati” anche l’ex Presidente U Win Myint (in due casi che riguardano incitamento e violazione della legge sui disastri) e sono in via di liberazione 7mila detenuti politici, 71 dei quali affiliati alle organizzazioni armate regionali (Ethnic Armed Organization). La decisione ha coinciso con una festa religiosa buddista: la giornata di Dhamma Cakka. Sono le occasioni dei perdoni ufficiali.

L’operazione “cosmetica” è cominciata lunedi scorso quando Suu Kyi è stata trasferita da un carcere di massima sicurezza della capitale, in un’abitazione civile di Naypyidaw sotto giurisdizione militare. La mossa e la concomitanza, sia con la fine dello stato di emergenza (31 luglio) sia con la celebrazione del Dhamma Cakka, avevano fatto presagire che qualcosa stesse per accadere. Da una parte, la decisione si può leggere come un atto di “buona volontà” per aprire almeno qualche canale che rompa l’isolamento internazionale e il cerchio stretto delle sanzioni. La giunta mira forse anche a convincere la Lady ad autorizzare qualche esponente del suo vecchio partito a partecipare alle elezioni: mossa già tentata in passato e fallita per la ferrea opposizione della Nobel. Più pedissequamente, la scelta del “perdono” sembra davvero solo una cortina fumogena sull’ennesimo atto della giunta militare birmana; un regime che non intende mollare la presa. Lo stato di emergenza autorizza i militari a sospendere qualsiasi minima istanza democratica a cominciare dalle elezioni.

(Red/Est/E.G.)

In copertina: foto di Svetva Portecali. Manifestazioni a Yangoon dopo il golpe

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