di Gianni Beretta
Era stato ricoverato nel dicembre scorso nell’ospedale della polizia nicaraguense dopo vari svenimenti patiti nella cella del carcere El Chipote, dove sei mesi prima era stato rinchiuso (in salute) dal regime orteguista per “tradimento della patria”. Una prigione che ha cambiato luogo ma che mantiene beffardamente lo stesso nome di quella dei tempi del dittatore Somoza, sulla collina che domina Managua e il lago Xolotlan, dove finivano a marcire i ribelli sandinisti. Fino a che Hugo Torres, 73 anni, ex comandante guerrillero, lo scorso fine settimana è deceduto.
Poco prima di essere arrestato, il 13 giugno scorso, lui, che durante la rivoluzione era stato generale dell’Ejercito Popular Sandinista, aveva pronunciato la seguente frase: “Non avrei mai immaginato alla mia età di dover lottare in forma civica e pacifica contro un’altra e peggiore dittatura proprio di coloro con i quali avevo condiviso i valori di giustizia e libertà e oggi diventati i più grandi nemici”.
Una detenzione la sua fatta d’isolamento, malnutrizione, maltrattamenti, interrogatori continui e scarse visite dei familiari. I quali denunciano invano il trattamento disumano cui sono sottoposti 168 prigionieri politici di varia tendenza, la cui unica colpa è dissentire da Daniel Ortega e dalla sua co-presidente (nonché consorte) Rosario Murillo. Alcuni di essi/e erano aspiranti presidenziali alle elezioni farsa del novembre scorso dove la coppia si è rinnovata per un quarto mandato consecutivo. Ma un accanimento particolare è riservato proprio agli ex compagni di lotta che fin dagli anni ’90, come Torres, criticano Ortega per aver ribaltato, in un delirio messianico di potere, i valori del sandinismo rivoluzionario. E che nel 2018 si solidarizzarono con la rivolta popolare lanciata dai giovani universitari e soffocata nel sangue dal neotiranno, con un saldo di almeno 352 vittime.
Fra loro, in assai precarie condizioni, il quasi ottantenne ex sacerdote-ministro (alla famiglia) Edgar Parrales; Victor Hugo Tinoco (ex viceministro degli esteri) e Doria Maria Tellez (ex ministro alla sanità), condannata la scorsa settimana a otto anni di reclusione per fantomatici “atti contro l’indipendenza e la sovranità nazionale” in un pseudo-processo che invece che in tribunale si è svolto nello stesso penitenziario senza che avesse potuto mai incontrare un avvocato. Con loro ci sono pure in attesa di giudizio 27 detenuti fra i 19 e i 25 anni, a cominciare da uno dei leader di quella sollevazione, lo studente Lesther Alemán.
Altri invece hanno fatto in tempo a riparare all’estero, come lo scrittore ed ex vicepresidente Sergio Ramirez (premio Cervantes 2018); Luis Carrión, fra i nove comandanti della Dirección Nacional; i cantautori della revolución Carlos ed Enrique Mejia Godoy e Norma Gadea; la scrittrice e poeta Gioconda Belli… Senza contare gli oltre centomila nicaraguensi, soprattutto giovani, che hanno scelto o dovuto abbandonare il paese.
Certo stavolta l’imbarazzo del clan Ortega per la morte di Hugo Torres è palpabile. E cominciano a manifestarsi sordamente i primi malumori all’interno dello stesso regime. Al di là dei comunicati ufficiali in cui non si chiariscono le cause del decesso, si arriva a inventare una precedente cancellazione del processo a suo carico per “ragioni umanitarie” e si menziona una presunta volontà dello scomparso di non volere alcun tipo di esequie. L’esoterica tuttofare Rosario Murillo è arrivata incredibilmente il giorno dopo a decretare festivo lunedì 14 febbraio per san Valentino.
Ma cosa starà pensando davvero Daniel Ortega del leggendario comandante Hugo Torres e (con lui) i tre generali che si sono succeduti fino ad oggi alla testa dell’esercito, i quali furono liberati dalle prigioni somoziste proprio de El Chipote quella vigilia di Natale del 1974 dopo una brillante operazione guerrigliera cui lo stesso Hugo partecipò e nella quale furono presi in ostaggio diversi esponenti della dittatura di allora? E come reagiranno i 60 militanti sandinisti che furono rilasciati (insieme allo scomparso fondatore del Frente Sandinista Tomás Borge) nell’agosto ’78 quando ancora lui (l’unico a cimentarsi in entrambe le azioni) partecipò con Dora Maria Tellez all’assalto del parlamento somozista, per portarli poi tutti in salvo (in entrambi i casi) a L’Avana via Panama e Caracas? Neppure un anno dopo, il 19 luglio 1979, sarebbero entrati tutti insieme trionfalmente a Managua. Hugo Torres, persona semplice quanto appassionata, era stato nel 1994 tra i fondatori del Movimiento de Renovación Sandinista (Mrs) il quale, pur messo fuori legge dal regime poliziesco di Ortega, si è convertito lo scorso anno nella Unión Democratica Renovadora (Unamos).
La fine in carcere per stenti del comandante Torres ha avuto una grande risonanza nel subcontinente latinoamericano. La prima a prendere le distanze è stata la futura ministro degli esteri cilena Antonia Urrejola, del governo di Gabriel Boric che assumerà la carica il prossimo 11 marzo. Mentre la Commissione per i Diritti umani dell’Onu ha chiesto l’apertura di un’investigazione sulla morte del prigioniero di coscienza.
In copertina una foto d’archivio di Torres. Nel tweet il comunicato con cui si conferma la morte per malattia