La Von der Lyen nel Sudamerica in cerca di unità

Lula protagonista degli incontri con l'inviata europea. Partecipa tra le polemiche anche Maduro

di Maurizio Sacchi

La Presidente della Commissione Europea (CE), Ursula von der Leyen, ha iniziato lunedì una visita ufficiale in diversi Paesi dell’America Latina, tra cui Brasile, Argentina, Messico e Cile, con l’obiettivo di sbloccare l’accordo commerciale del 2019 tra l’Unione Europea e il Mercosur, oltre a cercare nuovi patti di collaborazione sulle energie rinnovabili e le materie prime sostenibili. Il tour è iniziato a Brasilia, dove è stata ricevuta dal Presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Il tema principale discusso è stato l’integrazione con il blocco economico, che comprende anche Argentina, Paraguay e Uruguay.

Ma Lula aveva qualche sassolino nella scarpa da togliersi: “La premessa tra i partner deve essere la fiducia reciproca, non la sfiducia e le sanzioni”.  Si riferiva a una serie di standard ambientali e lavorativi dell’UE, che sono stati imposti come obblighi per poter firmare il patto.”Una delle questioni centrali dell’accordo Mercosur-UE è la preoccupazione del Brasile per gli strumenti aggiuntivi all’accordo presentati dall’UE nel marzo di quest’anno, che ampliano gli obblighi del nostro Paese e sono oggetto di sanzioni in caso di non conformità”, ha spiegato il Presidente.

Ha aggiunto che l’UE ha approvato leggi “proprie” e con “effetti extraterritoriali”, che finiranno per modificare l’equilibrio dell’accordo. “Queste iniziative rappresentano potenziali restrizioni alle esportazioni agricole e industriali del Brasile”, ha lamentato Lula. Nonostante ciò, Von der Leyen ha detto che sperano di chiudere l’accordo “al più tardi entro la fine dell’anno” e ha annunciato circa 2 miliardi di dollari di investimenti per la produzione di idrogeno verde e più di 10,7 miliardi di dollari per progetti di investimento in America Latina e nei Caraibi. Ci saranno anche 21,6 milioni di dollari per proteggere l’Amazzonia, cioé meno del 10 percento del totale: a conferma del fatto che, al di lò della retorica, queste sono le priorità europee.

Il Brasile è la più grande economia dell’America Latina e il suo commercio con l’UE rappresenta il 30,8% del commercio totale dell’UE con la regione dell’America Latina (dato del 2016). Il Brasile è il maggiore esportatore di prodotti agricoli verso l’UE a livello mondiale. L’UE è il secondo partner commerciale del Brasile, con il 18,3% del suo commercio totale. Mentre il Brasile è l’undicesimo partner commerciale dell’UE, con l’1,7% del commercio totale dell’UE (2017). Le importazioni dell’UE dal Brasile sono dominate da prodotti primari, in particolare alimenti, bevande e prodotti del tabacco (16,3% delle importazioni dell’UE dal Brasile), seguiti da prodotti vegetali (17,8%) e prodotti minerali (21,8%). Le esportazioni dell’UE in Brasile consistono principalmente in macchinari e apparecchi (26,6%), prodotti chimici (23,6%) e mezzi di trasporto (13,6%). L’UE è il maggiore investitore straniero in Brasile, con investimenti in molti settori dell’economia brasiliana. Nel 2015, l’UE ha investito in Brasile il 48,5% dei suoi investimenti in America Latina.

Nel secondo giorno nella regione, la Von der Lyen è atterrata a Buenos Aires, dove è stata ricevuta dal Presidente Alberto Fernández, con il quale ha firmato un memorandum d’intesa sulle materie prime critiche per la transizione energetica, compreso lo sviluppo del litio e dell’idrogeno verde. “Il litio è estremamente importante perché è fondamentale per le tecnologie energetiche pulite (…) Questa è l’opportunità per il settore di svilupparsi con le catene di valore appropriate”, ha detto la Von der Lyen, che  prevede un aumento della domanda di 12 volte entro il 2030, motivo per cui l’accordo, insieme a quello raggiunto con il Mercosur, “porterà a maggiori flussi di investimenti”. Ieri mercoledì la rappresentante dell’UE si é incontrata con il Presidente del Cile, Gabriel Boric, prima di continuare la sua visita in Messico. Il prossimo ciclo di colloqui tra l’UE e il Mercosur si terrà tra un mese, il 15 luglio.

Il Brasile sta assumendo una politica particolarmente attiva come leader di un processo unitario del Sud America. Alla fine di maggio, tutti i 12 Paesi sudamericani, rappresentati da 11 Presidenti e dal Primo Ministro del Perù, si sono riuniti a Brasilia per un tentativo di raggiungere l’obiettivo dell’integrazione continentale. Il Presidente Luiz Inacio Lula da Silva tenta di rianimare il blocco regionale precedentemente conosciuto come Unione delle Nazioni Sudamericane, o Unasur, che si torna a riunire dopo quasi 10 anni. L’Unasur ha 450 milioni di abitanti e 17,8 milioni di chilometri quadrati.

“Abbiamo lasciato che l’ideologia ci dividesse e interrompesse i nostri sforzi di integrazione. Abbiamo abbandonato i nostri canali di dialogo e i nostri meccanismi di cooperazione, e abbiamo perso tutti per questo”, ha detto Lula aprendo i colloqui. Nel suo discorso, Lula ha promosso l’idea di creare una valuta commerciale regionale, che potrebbe rivaleggiare con il dominio del dollaro statunitense. “Quello che sta cercando di ottenere è l’unità del Sud America”, ha detto il principale consigliere di Lula, l’ex Ministro degli Esteri Celso Amorim,”Penso che sia sempre stato importante, ma ora lo è ancora di più in un mondo che si sta progressivamente dividendo in blocchi. Penso che, in un mondo come questo, perfino un Paese come il Brasile – che è molto popoloso e ha un’economia enorme – non sia abbastanza grande da solo”. Lula e altri leader di sinistra avevano co-fondato l’Unasur – annunciando le loro intenzioni nel 2004 e firmando un trattato nel 2008 – ma l’organizzazione si è riunita per l’ultima volta nove anni fa, finendo per frammentarsi quando il quadro politico sudamericano si è spostato a destra.Il vertice si è svolto a porte chiuse, ma si sa che gli argomenti di discussione sono stati l’energia, la finanza, il crimine e la lotta al cambiamento climatico.

Anche il Presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ricevuto un caloroso benvenuto da Lula, dopo che gli era stato vietato di entrare in Brasile dal predecessore di destra di Lula, Jair Bolsonaro. che ha sostenuto la candidatura senza successo del leader dell’opposizione venezuelana Juan Guaido alla presidenza del Venezuela. L’abbraccio di Lula a Maduro ha suscitato critiche, per aver sorvolato sulle  violazioni dei diritti civili  del Venezuela, con l’incarcerazione  di membri dell’opposizione e le accuse di aver truccato le elezioni. Nel 2018, la Colombia si è ritirata dall’Unasur, dopo che l’ex Presidente di destra Ivan Duque aveva accusato il gruppo di complicità con la “dittatura venezuelana”.Il successore di Duque alla guida della Colombia, Gustavo Petro, si è mosso per allentare le tensioni con il Venezuela dopo anni di ostilità, cercando aree di interessi comuni come la cooperazione sulla sicurezza delle frontiere. 

Leader come il Presidente uruguaiano Luis Lacalle Pou hanno contestato l’affermazione di Lula secondo cui le critiche al Venezuela sono semplicemente una “narrazione” volta a dipingere il Paese come antidemocratico. “Sono rimasto sorpreso quando ha detto che ciò che è accaduto in Venezuela sarebbe  una narrazione. Lei sa già cosa pensiamo del Venezuela e del governo venezuelano”, ha scritto Lacalle Pou a Lula su Instagram Live. Ma il Presidente cileno Gabriel Boric ha detto che, come Presidente di sinistra, non era d’accordo.n”Non è una costruzione narrativa. È una realtà. È una cosa seria”, ha detto Boric. Ha aggiunto che il rispetto dei diritti umani è “fondamentale e importante” per il Cile, indipendentemente dall’ideologia di coloro che li violano.Per il Presidente Maduro, l’incontro ha rappresentato una pietra miliare importante. Per anni, è stato isolato dai suoi colleghi sudamericani – Brasile, Colombia, Cile, Perù e Argentina, per esempio – dopo che molti hanno scelto di non riconoscere la sua rielezione nel 2018, optando invece per sostenere un fantomatico governo di opposizione.

Il processo di integrazione sudamericana é sempre stato tormentato. La base fondante dell’Unione è la Dichiarazione di Cusco del 2004, in cui i 12 Paesi sudamericani dichiaravano di voler creare una Comunità sudamericana delle nazioni (in spagnolo, Comunidad Suramericana de Naciones; in portoghese, Comunidade Sul-americana de Nações; in olandese, Zuid-Amerikaanse Statengemeenschap), sulla falsariga dell’Unione europea.Il nome fu poi cambiato in Unione delle nazioni sudamericane l’anno successivo. L’organizzazione è nata ufficialmente con il Trattato costitutivo dell’Unione delle nazioni sudamericane, firmato a Brasilia il 23 maggio 2008 ed entrato in vigore ufficialmente l’11 marzo 2011, dopo la ratifica dell’Uruguay. L’organizzazione si è data col tempo delle strutture fisse, come il Segretariato generale (con sede a Quito, in Ecuador), il Parlamento (che avrà sede a Cochabamba, in Bolivia) e la Banca del Sud (con sede a Caracas, in Venezuela).

A partire dal 2017, l’Unione ha  attraversato un periodo di forte crisi, dovuta a una serie di conflitti diplomatici fra i Paesi membri: a gennaio 2017, la nomina a Segretario generale del diplomatico argentino José Octavio Bordón fu bloccata dal Venezuela, sostenuta da Bolivia e Suriname; Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Paraguay e Perù si sono poi  uniti nel cosiddetto “Gruppo di Lima”, che ha denunciato la presidenza del venezuelano Nicolás Maduro come “antidemocratica”; nel febbraio 2018, è stato ritirato l’invito a Maduro dall’8º Summit delle Americhe (tenutosi in aprile a Lima), causando la richiesta del Presidente boliviano Evo Morales di una “riunione di emergenza” dell’Unione  per esprimere solidarietà al presidente venezuelano. E poi la crisi più grave il 20 aprile 2018, quando il Gruppo di Lima annunciò la propria “autosospensione” dall’Unione per un anno, in forte contrasto con la presidenza pro-tempore boliviana, assegnata proprio a Morales. Il 28 agosto 2018, la Colombia notificava la sua intenzione di volersi ritirare “entro sei mesi” dall’organizzazione

Dei dodici Paesi che una volta facevano parte dell’Unione delle nazioni sudamericane, oggi ne rimangono solo quattro: Bolivia, Guyana, Suriname e Venezuela. Questo è il risultato del cambio di ciclo politico e dell’arrivo di governi conservatori e miopi sulle questioni internazionali. Gli altri otto, cioè Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Paraguay, Perù e Uruguay, hanno prima sospeso la loro partecipazione e poi, tra il 2018 e il 2020, con argomentazioni di carattere  isolazionista e contrarie ai principi dell’integrazione e della solidarietà, si sono ritirati definitivamente dall’organizzazione.

Sono stati anni di crisi e di golpe bianco: in Brasile la caduta per via giudiziaria della presidente Dilma Rousseff, nel 2016; l’arresto con l’accusa di corruzione del presidente Lula lo stesso anno ‒ che ha concluso il suo mandato con l’80% dei consensi ‒, per poi essere condannato nel 2017 a nove anni di prigione in quella che si è rivelata una montatura. Una situazione simile è stata vissuta dall’ex presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che ha governato per due mandati consecutivi, 2007-17, con un alto tasso di sostegno popolare e ha finito per essere condannato per corruzione nel 2020 a otto anni di prigione in un processo orchestrato dal suo successore. Una situazione dai tratti pressoché uguali si è verificata con il colpo di Stato contro Evo Morales in Bolivia nel 2019, o con l’interventismo di Colombia e Cile per rovesciare il governo di Nicolás Maduro in Venezuela, lo stesso anno. 

C’é poi l’Organizzione degli Stati americani, OEA, che include gli Stati Uniti. Il suo ruolo é stato, proprio per la ingombrante e ostile presenza della potenza a stelle e strisce, più di ostacolo che di alleato dell’unità latinoamericana. Il segretario generale Luis Almagro, secondo l’attuale ministro degli Esteri argentino Felipe Solá « (…)  una persona assolutamente immorale agli ordini del più forte, agli ordini di Donald Trump».Questa serie di colpi di Stato -più o meno coperti da un’apparente legalità-  e condanne per corruzione, l’imprigionamento dei leader, l’arrivo della destra in quegli stessi Paesi, é stata all’origine dell’ abbandono della principale forza di dialogo e integrazione politica, l’Unasur, la cui nascita si deve proprio all’azione di Lula durante le sue presidenze prima dell’incriminazione. Debolezza dell’organizzazione è stata quella di contare solo sull’affinità e la forza ideologica dei suoi leader, e di non generare un quadro istituzionale forte che evitasse la paralisi in cui l’organizzazione è sprofondata per la mancanza di consenso nella successione dell’ultimo segretario generale, Ernesto Samper.

“Meglio non partire da zero”, aveva detto Lula al vertice dei primi di giugno proponendo la riconvocazione di Unasur. Ma non è riuscito a convincere tutti i suoi colleghi che, alla fine, hanno scelto di riunire un gruppo con membri di ogni Paese per lavorare su un piano di integrazione regionale nei prossimi 120 giorni. Lula aveva fatto appello ai leader sudamericani affinché mettessero da parte le loro differenze ideologiche e si concentrassero sugli interessi comuni, tra cui la crescita economica, la produzione di energia e la protezione dell’ambiente.

Il Presidente colombiano Gustavo Petro, il suo omologo argentino Alberto Fernandez e il cileno Boric sono stati tra la maggioranza che ha convenuto che in nessun momento della storia il Sud America ha mostrato un tale potenziale economico. Qui si trovano le maggiori riserve di rame e il ricercatissimo litio, utilizzato nelle batterie ricaricabili. La regione ha anche il potenziale per diventare il maggior produttore di idrogeno verde e di altre fonti di energia sostenibile. Inoltre, possiede enormi riserve di acqua dolce, foreste pluviali e una popolazione sempre più – anche se non sufficientemente – istruita.

Secondo alcuni esperti, è necessario un maggiore pragmatismo. E l’attuale crisi migratoria in Sud America potrebbe contribuire a stimolarla. Più di sette milioni di venezuelani hanno lasciato il loro Paese dal 2015, secondo le Nazioni Unite. Se Paesi come Cile, Perù, Ecuador e Colombia vogliono rimpatriare i venezuelani privi di documenti e istituire un sistema ordinato di migrazione legale, alcuni osservatori ritengono che avranno bisogno della cooperazione di Maduro. Boric ha fatto riferimento alla cooperazione con il Venezuela per risolvere la crisi al confine tra Cile e Perù. “Insieme, con i governi del Perù e del Venezuela, attraverso un dialogo con il Ministro degli Esteri venezuelano, siamo stati in grado di risolvere questa crisi e di permettere a un aereo venezuelano di far tornare in patria i cittadini di quel Paese”, ha detto Boric.

Amorim, consigliere di Lula, ha indicato l’Unione Europea come modello di come le nazioni sudamericane possono procedere per costruire un nuovo blocco, anche con una diversità di opinioni politiche. “In Europa ci sono diverse posizioni politiche. Ci sono governi di centro-destra. Ci sono governi che si potrebbe dire che sono ancora più a destra del centro-destra. E ci sono governi di centro-sinistra”, ha detto Amorim. “E tuttavia, almeno su alcuni argomenti, sono in grado di parlare, se non con una sola voce, almeno in modo coerente”.

Il sogno di Lula di un Sud America unito, tuttavia, è ancora molto lontano dal successo. Ma politici come Amorim vedono la speranza nell’esempio dell’Europa. I 12 Paesi del Sud America, dopo tutto, sono molto più simili culturalmente e linguisticamente dei membri dell’Unione Europea. “Naturalmente, ci saranno opinioni diverse”, ha detto Amorim a proposito di un possibile blocco sudamericano. “Ma abbiamo interessi comuni sotto molti aspetti. Dobbiamo lavorare per i nostri interessi in modo unificato. Perché così avremo più forza”. “C’è molto da guadagnare e non c’è tempo da perdere”, ha spiegato Lula al summit, facendo riferimento alla lunga storia del Sudamerica, che si è svolta all’ombra di potenti potenze economiche e politiche, fin dai primi giorni del colonialismo.

Nell’immagine di copertina, la costituzione di Unasur nel 2008 

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