di Emanuele Giordana
Con la scelta di Lloyd Austin alla Difesa, la squadra di Joe Biden al governo degli Stati Uniti e ormai quasi completamente completa. Ma mai come questa volta, il lascito dell’ultimo presidente a quello nuovo – che ancora deve insediarsi – è tanto pesante. Poco dopo la metà di novembre, quando ormai era più che certa l’elezione di Biden alla Casa Bianca, il Pentagono ha resa nota l’intenzione di Donald Trump – prima di lasciare l’incarico – di ridurre drasticamente il numero delle forze statunitensi in Afghanistan da 4.500 a 2.500 uomini. Ritiro che sarà anche accompagnato da una riduzione delle forze militari stellesterisce in Iraq: da 3.000 a 2.500. Sembrerebbe una buona notizia ma, come tutte le azioni di Trump, è meglio cercare di capire quale sia l’intenzione recondita dell’ormai ex presidente, di cui si sa che ha già in animo di ricandidarsi. E’ abbastanza lecito sospettare che Trump pensi più a se stesso che non al suo Paese e che stia soprattutto preparando l’ennesimo tranello per Joe Biden, cui vuole lasciare ogni possibile castagna sul fuoco perché il neo eletto si scotti le mani.
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Nel caso afgano, si era detto che la pace voluta da Trump coi Talebani fosse soprattutto una carta da giocare sul fronte elettorale, con una vittoria da mostrare ai futuri elettori. Ma con la comparsa del virus, Kabul è sparita dalla scena mediatica di Trump al cui posto l’ormai ex presidente ha preferito la Cina o l’Iran. Cosi poco a Trump importa dell’Afghanistan, che l’inquilino della Casa Bianca non ha praticamente mai menzionato l’Afghanistan nella sua campagna elettorale.
Ma ecco che adesso gli afgani tornano prime donne. Lo ridiventano in un momento difficile, mentre i Talebani parlano per la prima volta col governo di Kabul. I colloqui sono iniziati il 12 settembre a Doha, ma la situazione è di stallo, con litigi sulla forma ancor prima che sulla sostanza. Anticipare il ritiro dei soldati in questo momento, sia pure con un annuncio, aumenta la protervia della guerriglia in turbante mettendo ovviamente in difficoltà il governo di Ashraf Ghani, già indispettito dal fatto che gli americani hanno firmato la pace con la guerriglia senza minimamente coinvolgere l’esecutivo di Kabul.
Aumentano, in Afghanistan, le voci di chi chiede che gli americani restino e aumenta, in America, la pressione di quei generali e di quei parlamentari del Congresso che il ritiro non hanno mai digerito. La mossa di Trump in realtà più che aiutare gli afgani mette in difficoltà loro e chi verrà dopo di lui: il prossimo presidente proseguirà un ritiro spedito o ascolterà chi gli chiede di prendere tempo? C’è da ritenere che prevarrà la seconda ipotesi, che conferma quella che ad alcuni osservatori è sempre sembrata la vera opzione: ritirarsi ma non del tutto, conservando un’ipoteca sulle basi militari afgane per avere una piattaforma utilizzabile in caso di conflitto con l’Iran o con la Russia.
Patate bollenti in Medio Oriente
L’Iran è l’altra patata (o castagna) bollente che Trump lascia in eredità a Biden in Medio Oriente. Ritiratosi dall’accordo sul nucleare, Trump ne ha fatto un motivo di orgoglio riempiendo Teheran di sanzioni e colpendo l’Iran in ogni maniera possibile nonostante il Paese sia devastato dal Covid. Le altre grane sono note: l’eccesso di zelo verso Israele e verso l’Arabia saudita e gli emirati, ignorando – come Trump ha fatto durante il suo mandato – le violazioni patenti di Israele verso la Palestina e di Riad e degli emiri verso i loro oppositori.
Se lasciamo da parte la Libia, che alla fine è stata abbandonata al suo destino dagli Usa, la grana più grossa è però a Oriente. Trump lascia in eredità a Biden una guerra verbale e commerciale con la Cina e un appoggio senza precedenti al premier indiano Modi, nemico acerrimo di Pechino e di tutti gli indiani che non sono di religione indù. Biden sarà in grado di ricucire? E come? Ogni giorno che Trump passa alla Casa Bianca c’è una nuova sorpresa sia in politica interna sia in politica estera. Macerie accumulatesi in anni di scelte unilaterali, pericolose e spesso irresponsabili. Sarà una partita complessa e in salita cui ogni giorno Trump riesce ad aggiungere un tassello del suo puzzle sconsiderato.
In copertina lo Studio Ovale alla Casa Bianca
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