“Ho partecipato a questi negoziati sul clima da quando sono iniziati nel 1991. Ma non ho mai visto la disconnessione quasi totale che abbiamo visto qui alla COP25 di Madrid tra ciò che la scienza richiede e ciò che i negoziati sul clima stanno offrendo in termini significativi“.Questa la dichiarazione di Alden Meyer, direttore della strategia e della politica di UCS, Unione degli Scienziati Preoccupati per il futuro al termine delle estenuanti trattative durate due settimane, e conclusasi domenica 15 dicembre con un sostanziale nulla di fatto.
Gli atti finali della conferenza sul clima hanno visto due tempi supplementari, a indicare lo sforzo, che comunque ha avuto luogo, di raggiungere un accordo che consentisse di raggiungere l’obbiettivo prefissato. Si tratta di scongiurare l’aumento -previsto di 1,5 gradi centigradi, nell’ipotesi migliore, e di 2 gradi nella peggiore- , delle temperature media globali. Un aumento enorme, che porterebbe a eventi climatici catastrofici, fra cui l’innalzarsi del livello dei mari tale da sommergere interi arcipelaghi e zone costiere, mandare in crisi totale la pesca, e, sul piano sociale ed economico, a centinaia di milioni di profughi e a un vero cataclisma globale.
Il documento ufficiale delle Nazioni unite, emesso dall’Ipcc https://www.ipcc.ch , l’organo intergovernativo incaricato di valutare le conseguenze del riscaldamento globale, non lascia spazio a dubbi. Benchè il corposo rapporto possa essere difficile da affrontare per i non addetti ai lavori, le sintesi e i sommari che vi sono presenti permettono a chiunque di verificare che gli allarmi lanciati prima dagli scienziati, e poi ripresi in tutto il Pianeta grazie ai Fridays for future lanciati dalla giovane Greta Thurnberg sono pienamente fondati.
La minaccia non solo è confermata, ma si è anzi aggravata, da quando gli studi hanno evidenziato che lo scioglimento delle calotte polari in corso accelererà il processo. Alla perdita dell’effetto di rifrazione causato dal biancore delle calotte, sostituito da masse d’acqua più scure, che assorbono ilcalore, si aggiunge ora anche la scoperta che da questo scioglimento scaturiranno gas-serra ancor più dannosi, con il risultato che la catastrofe ambientale annunciata è ora prevista per il 2050, una data così prossima da far pensare che nessuno possa più ignorarla.
Uno studio pubblicato su Geophysical Research Letters a giugno ha descritto le conseguenze catastrofiche della perdita del ghiaccio marino estivo riflettente dell’Artico. Il ghiaccio è un grande scudo bianco che riflette il riscaldamento solare in arrivo nello spazio durante le lunghe giornate estive del sole di mezzanotte. Altrimenti, sarebbe assorbito dall’oceano. Perdere questo ghiaccio, ha spiegato lo studio, sarebbe l’equivalente del riscaldamento di ulteriori 25 anni di emissioni ai tassi attuali, spingendoci più rapidamente oltre la soglia di riscaldamento che secondo gli scienziati potrebbe portare a danni catastrofici, da ondate di calore più intense e inondazioni costiere alle estinzioni di specie e minacce alle forniture alimentari.
“Come potete non avvertire il panico?” è stata infatti la provocatoria domanda della attivista quindicenne, rivolta ai rappresentanti dei Paesi convenuti a Madrid. Ora, il risultato deludente delle trattative potrebbe indurre a un pessimismo e a un disfattismo totale. Ma sia la giovane Greta, che la commissione delle Nazioni unite hanno percepito il rischio che questo porti a un atteggiamento rinunciatario. E infatti, nei diversi linguaggi e modi, il monito è a impegnarsi a fondo per fermare il dramma prima che sia troppo tardi.
Non è un’utopia, secondo la memoria del Panel dell’Onu, l’impresa che a comunità globale si trova ad affrontare. Si tratta nientedimeno che ridurre le emissioni a un livello inferiore a quello di prima della Rivoluzione industriale iniziata ormai tre secoli fa. Non è possibile riportare in un articolo le dettagliate e documentatissime strategie del rapporto. Ma alcuni esempi possono dare un’idea di quanto questo obbiettivo sia non solo necessario, ma anche raggiungibile.
I due esempi pratici che indichiamo qui riguardano la California e l’Europa.
La California ha mostrato al mondo come ridurre gli inquinanti più pericolosi. Scrive il New York Times: ” Lo Stato ha ridotto le emissioni di carbonio nero di oltre il 90 percento dagli anni ’60, principalmente riducendo le emissioni diesel. La California ha anche imposto lo standard più forte in tutti gli Usa per limitare le emissioni di metano dalle discariche e rigide normative sui refrigeranti nei condizionatori d’aria e nei prodotti di consumo”.
E l’ Europa? Con l’annuncio del suo Green Deal e il suo impegno a ridurre le emissioni nette entro il 2050, l’Unione Europea sta dando ,un segnale forte, che potrebbe farle assumere un ruolo guida. Per superare il blocco attuale, l’Unione europea deve impegnarsi a sollevare l’asticella del suo obiettivo di riduzione del 2030 il più presto possibile, nel 2020, e creare le condizioni per coinvolgere anche i paesi più emittenti come gli Stati uniti, la Cina e l’India, che insieme al Brasile, all’ Australia e all’Arabia saudita sono stati veri responsabili del fallimento verificatosi a Madrid.
Il prolungamento fino a domenica 15 dicembre dei colloqui si deve proprio alle resistenze di questo fronte di Paesi, i maggiori responsabili attualmente della catastrofe incombente. Ma che resistono ad assumersi gli impegni previsti dalle Nazioni unite: non solo la drastica riduzione delle emissioni, ma anche il sostegno richiesto alle economie dei Paesi più vulnerabili e meno sviluppati, per permettere loro di affrontare questa epocale transizione. Su questi temi la presidenza cilena dell’incontro di Madrid ha trattenuto per una riunione extra solo le delegazioni Di Usa, Cina, India, Australia e Srabia saudita, tentando di ottenerne un impegno, ma ottenendo il risultato minimo di rinviare ogni decisione al prossimo incontro a Glasgow nel giugno 2020.E suscitando le proteste dei Paesi esclusi.
nell’immagine uno scatto di Inès Cassol Pereira per Unsplash
(r/ma/sa)
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