Dossier/ Tregua mancata

a cura di  Alice Pistolesi

Il 23 marzo 2020 il segretario generale dell’Onu António Guterres ha lanciato un appello per un cessate al fuoco per consentire al mondo di reagire al roronavirus: una malattia globale come occasione per una tregua globale. L’appello è stato ripreso da papa Francesco il 29 marzo.

Cosa resta della richiesta del numero uno delle Nazioni Unite? Da chi è stata accolta? In questo dossier passeremo in analisi alcune delle situazioni di guerra, sottolineando quelle in cui l’appello è stato recepito, anche solo da una delle parti in conflitto.

Nel tralasciare alcune delle aree del mondo che restano in conflitto preme però sottolineare uno dei primi effetti della pandemia: lo stop immediato dei movimenti di rivendicazione sociale che nel corso del 2019 e nei primi mesi del 2020 avevano portato in piazza milioni di persone in tutti i Continenti.

*In copertina Photo by Specna Arms on Unsplash

In Asia

Dall’Asia non arrivano buone notizie. Se il presidente filippino Rodrigo Duterte aveva concordato, già da marzo, una tregua fino al 15 aprile con il National Democratic Front, braccio armato del Communist Party of the Philippines, nelle altre zone dell’arcipelago di tregua non si parla. Infine già a fine marzo il Governo di Manila denunciava una violazione del cessate il fuoco dopo uno scontro tra ribelli e militari a Barangay Puray nella provincia di Rizal.

Niente di fatto nemmeno in Thailandia e in Myanmar da cui vengono tutt’altri segnali. In Thailandia le reali forze armate hanno ignorato l’annuncio unilaterale di cessate il fuoco nel Sud del Paese da parte della guerriglia separatista del Barisan Revolusi Nasional per una sospensione dell’attività militare onde facilitare la risposta al Covid-19. Lo stesso ha fatto Tatmadaw, l’esercito birmano, che ha rispedito al mittente la proposta di tregua avanzata da diverse organizzazioni della società civile birmana e da alcuni gruppi guerriglieri tra cui Karen National Union, Karenni National Progressive Party, Ta’ang National Liberation Army, Myanmar Democratic Alliance Army e Arakan Army, che il governo ha recentemente dichiarato organizzazione terroristica motivo per il quale ha arrestato alcuni giornalisti colpevoli di aver intervistato i portavoce del gruppo.

Mentre solo nell’ultimo mese si conta un bilancio di quasi 40 vittime civili negli Stati di Chin e Rakhine, l’esercito ha anche ignorato un appello firmato il 1 aprile dalla Ue e da altre 17 ambasciate a Yangoon – tra cui quella americana – in cui si richiamava l’appello di Guterres. In Asia non è l’unico caso ed è infatti rimasto inascoltato.

In Africa

Nel Continente africano solo una formazione ha accolto l’appello di tregua Onu. In Camerun, una milizia separatista anglofona ha annunciato una tregua unilaterale per permettere che le persone possano essere sottoposte ai test per il coronavirus. Le Forze di difesa del Camerun Meridionale (Socadef) hanno affermato che il cessate-il-fuoco rappresenta un “gesto di buona volontà” ma non è stato seguito dalle altre milizie, tra cui l’Ambazonia Defense Forces (Adf), uno dei gruppi principali nella lotta per l’indipendenza dell’autoproclamato stato dell’Ambazonia.

Intanto in Mali l’emiro del regno del Liptako, tra Burkina, Mali e Niger, Ousmane Amirou Dicko, ha chiesto il 19 aprile una tregua umanitaria per impedire la diffusione del coronavirus in una Regione in preda alla violenza jihadista. In Mali, così come negli altri Paesi della regione saheliana, il covid-19 non ha fermato i gruppi armati, che hanno continuato senza sosta i loro attacchi mortali. Stesso copione anche nella Repubblica Democratica del Congo che vive nella regione dell’Ituri una pericolosa combinazione tra scontri tra milizie, il ritorno di ebola e l’apprensione per il nuovo coronavirus.

E la guerra continua senza sosta anche in Libia. Il 21 marzo il comando del sedicente esercito nazionale libico (Lna), che fa capo al generale Khalifa Haftar, si era detto favorevole all’appello internazionale per uno stop ai combattimenti per far fronte all’emergenza coronavirus, se lo avessero fatto anche “le altri parti”. La dichiarazione del portavoce del comando generale Ahmed Al Mismari è però caduta nel vuoto e il conflitto è arrivato alla periferia di Tripoli, spingendo molte persone ad ammassarsi nelle zone centrali della città.

Dopo aver riconquistato le città di Sabratha, Surman e al-Ajaylat, a Ovest di Tripoli, il 18 aprile il governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Sarraj ha lanciato l’offensiva per riprendere il controllo di Tarhuna, la principale base del generale Khalifa Haftar nell’Ovest della Libia, a circa 65 chilometri a Sud-Est della capitale. La nuova escalation di scontri tra le forze di Serraj e quelle di Haftar è iniziata dall’inizio di aprile e fa allontanare di giorno in giorno la prospettiva di un cessate il fuoco umanitario.

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