Pace senza steccati

Una riflessione a margine della denuncia penale presentata in procura contro la presenza di ordigni nucleari in Italia. E sulle reazioni suscitate

di Raffaele Crocco

Lo scrivo da giornalista, anche se questo significa essere un po’ grossolani, non conoscere le cose sino in fondo. Lo scrivo da persona che ha a cuore i temi del disarmo e della pace. Lo scrivo perché non riesco a capire come da sempre, stancamente e ottusamente, ci sia tanto accanimento e livore fra chi vive – credo – lo stesso mondo, condivide le medesime emozioni, gli stessi sogni e obiettivi politici. Mi spiego: qualche giorno fa, alcune associazioni italiane, decidono di fare qualcosa contro la presenza di ordigni nucleari militari sul suolo italiano, coperti dal più stretto segreto militare. Un segreto militare confermato da tutti i governi – a prescindere dall’appartenenza e dal colore – che si sono succeduti alla guida della nostra democratica Repubblica.

Voci mai confermate, parlano di alcune decine di testate, divise fra le basi militari di Aviano e di Ghedi. Questa cosa, dicono gli attivisti, è illegale. In Italia non possono esserci ordigni nucleari, per di più con la possibilità di essere trasportati da aerei delle nostre forze armate. Così, presentano una denuncia penale alla Procura di Roma, nella speranza di muovere le acque e di costringere, in qualche modo, il Governo ad uscire allo scoperto. A firmare quella denuncia sono una ventina di rappresentanti di associazioni autorevoli e alcuni singoli, come Moni Ovadia e Alex Zanotelli.

Ora, io non so se l’iniziativa funzionerà. Non so nemmeno se è stata pensata, condotta, organizzata nel migliore dei modi. Da giornalista, so che è una notizia e come tale farà parlare un po’ di persone, che finalmente rifletteranno sul fatto che l’Italia è un Paese con un arsenale nucleare. Penso anche che, comunque, è un’azione concreta, che qualche cosa potrà generare. Quindi, pubblichiamo la notizia sul sito dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e su Unimondo.

Tutto bene, direte… no, non tutto bene. Perché faccio un “giro d’orizzonte” d’opinioni. Perché, leggo Lettera 22, testata amica, che parla del medesimo evento. Scopro così molte ombre. Ad esempio, che la Tavola della Pace, protagonista del pacifismo italiano da decenni, non è stata informata dell’iniziativa, tagliando le gambe alla possibilità di diffonderla meglio e di più. Mi imbatto nel commento – piuttosto duro – di Francesco Vignarca, responsabile delle campagne di rete Pace e Disarmo. Prende le distanze, a nome suo e del gruppo con cui lavora. Leggo Lisa Clark, un’autorità in questo campo, che con eleganza spiega che Ican, è troppo impegnata nella campagna “Italia ripensaci” – quella che dovrebbe convincere il governo a firmare il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari – per partecipare all’iniziativa. Immagino che gli organizzatori abbiano avuto le loro ragioni per non includere la Tavola della pace, così come credo Vignarca sappia quello che sta facendo. Immagino che ognuno abbia motivo per prendere palesemente o meno le distanze, per non partecipare all’iniziativa. Mi chiedo, però, il senso di tutto questo.

Cerco di capire se è utile e intelligente coltivare costantemente il dissenso e la rottura in un movimento – quello per la pace – che dovrebbe essere inclusivo, accogliente, unito. Da anni, assistiamo invece al rito del “capello spaccato in quattro” per affermare come unica verità la propria, sostenendo dogmi, scrivendo libri- vangelo, scomunicando chiunque non sia allineato. Non credo il pacifismo richieda “l’esame del sangue” della purezza delle idee e delle appartenenze. Credo sia un luogo meravigliosamente corrotto dalle vite e dalle contraddizioni di chi lo sostiene, impegnato nel tentativo di costruire un progetto politico che porti alla Pace come sistema, come normalità. E lì dentro, è ovvio, ci sono conflitti, divergenze, tic, antipatie, come in ogni struttura umana. Come in ogni avventura. Quello che non deve esserci, sono gli alti muri che ci dividono. Dovremmo davvero smetterla di costruirli.

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