di Maurizio Sacchi
La presidente peruviana Dina Boluarte ha chiesto una “tregua nazionale” martedì, poche ore prima che una nuova violenta manifestazione scoppiasse a Lima per chiedere le sue dimissioni. Parlando alla televisione, la Boluarte ha dichiarato che le proteste hanno causato perdite per 1 miliardo e 300mila dollari, tra danni alle infrastrutture e alla produzione. “Il Paese sta vivendo una situazione di violenza, generata da un gruppo di radicali senza un’agenda politica” ha detto. L’appello della Presidente é caduto nel vuoto. Finora, la repressione delle manifestazioni delle ultime sei settimane ha provocato 56 morti.
Sta destando scalpore l’irruzione, anche con un carro armato, delle forze dell’ordine all’Università San Marcos di Lima, in seguito alla quale sono stati detenuti quasi 200 manifestanti. Si denuncia l’assenza dei magistrati nell’operazione e il fatto che i dimostranti siano trattati come delinquenti. Il ministro dell’Interno ha dichiarato che l’intervento nell’università era giustificato perché “vi era flagranza di reato e stato di emergenza”. Alberto Fujimori, l’ex Presidente ora detenuto, aveva ordinato un’incursione simile nell’università nel 1991.
Intanto si segnalano 109 blocchi stradali in quasi 40 province. I fatti più gravi a Puno, dove è stato dato alle fiamme un commissariato, un ufficio governativo, e almeno quattro succursali bancarie. L’agenzia per i Diritti umani delle Nazioni Unite ha lanciato un richiamo perché sia garantita la legalità degli interventi nelle operazioni di polizia, mentre proseguono le operazioni di recupero di 400 turisti bloccati nel sito archeologico di Machu Picchu.
I manifestanti chiedono le dimissioni della presidente Dina Boluarte e si stanno concentrando a Lima da diverse parti del Paese per esprimere le richieste che avanzano da quando è stato destituito e arrestato l’ex presidente Pedro Castillo. “Dina asesina” è uno degli slogan più comuni sugli striscioni che compaiono durante le proteste. La successione di Boluarte alla presidenza è controversa, dato che ha prestato giuramento lo stesso giorno in cui Castillo è stato imputato e rimosso dall’incarico, il 7 dicembre. Benché la costituzione sia stata formalmente rispettata, il suo dispiegamento di forze militari contro i manifestanti, unito al rifiuto di riconoscere la legittimità delle loro richieste e a un’ampia rappresentazione di loro come agitatori dell’estrema sinistra, hanno ostacolato la sua capacità di costruire consenso. “Lei e il suo governo hanno trattato [i manifestanti] con una tale violenza e repressione da minare la legittimità del suo governo”, ha dichiarato Jo-Marie Burt, senior fellow del Washington Office on Latin America, un’organizzazione no-profit. “Se continuerà a governare con le spalle al popolo e a usare la repressione per tenere a bada i manifestanti, questo potrebbe durare per un po’, ma a un certo punto esploderà”.
Invece di cercare un ampio dialogo interculturale, la Boluarte, che di Castillo era vicepresidente, ha scelto di criminalizzare le proteste e di formare una coalizione di governo con i suoi ex nemici di estrema destra, e ha scelto di appoggiarsi alla polizia e alle forze armate. Un sondaggio di questo mese dell’Istituto di studi peruviani (Iep) mostra che il tasso di disapprovazione della Boluarte è balzato al 71 percento e che il 58 percento ritiene che ci siano stati eccessi da parte delle forze di sicurezza nella repressione delle proteste.
Il Congresso del Perù, fortemente diviso, si appresta a indire un referendum il mese prossimo per ratificare la data delle prossime elezioni, nel 2024, il che richiederebbe modifiche alla Costituzione. Questo dà forza alle fazioni di estrema destra del Congresso, che hanno già posto condizioni per garantire il loro voto, sperando di ottenere garanzie che il Governo elimini le autorità elettorali indipendenti.
*Nell’immagine il Palazzo presidenziale a Lima, foto ufficiale della Presidencia de Perù