Sud Sudan, il paese perduto

Un territorio dove si è consumata la più grande delusione africana. Reportage

di Raffaele Masto
di ritorno dal Sudan

Le cifre della guerra in Sud Sudan fanno paura: un terzo complessivo della popolazione è fuggita dalle loro case dal dicembre del 2013. Ci sono stati almeno sessanta mila morti. Nei prossimi mesi quasi sei milioni di persone soffriranno la fame o soffriranno di grave malnutrizione. Il conflitto ha anche stabilito un record, quello dei bambini impiegati nella guerra che secondo l’Unicef sarebbero almeno ventimila, contati per ampio difetto perché nessuno ha potuto stabilire quanti siano arruolati tra le diverse milizie che si fronteggiano.

Insomma il Sud Sudan è un paese perduto, nel quale si è consumata la più grande delusione africana dopo la guerra del Biafra, in Nigeria, nel 1967 che mostrò al mondo che le indipendenze appena ottenute non avrebbero avviato il continente verso lo sviluppo e la democrazia.
Ma il Sud Sudan è un paese perduto soprattutto perché in poco più di quattro anni ha “bruciato” una ventina di accordi di tregua o cessate il fuoco e ha fatto saltare altrettanti negoziati, abortiti ancora prima di entrare nel vivo delle questioni.

L’ultimo tentativo

L’ultimo tentativo di mettere le parti intorno ad un tavolo è fallito proprio in questi giorni, a metà aprile, e con il negoziato è diventato nullo anche il cessate il fuoco stabilito qualche settimana prima.
La lunga serie di fallimenti, come sempre avviene quando si temporeggia troppo per fermare un conflitto, ha fatto degenerare la guerra, frammentando i contendenti e facendo nascere una complessa geografia di signori della guerra e di milizie contrapposte.

L’ultima separazione è di poche settimane fa è riguarda uno storico personaggio, il generale Paul Malong Awan, ex leader del Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan, il partito separatista fondato nel 1983 per l’indipendenza del Sud, ed ex Capo di Stato Maggiore fino al maggio del 2017 dell’esercito sud sudanese. Malong è stato un fedelissimo alleato del presidente Salva Kiir Mayardit ed ha rotto con il suo ex diretto superiore affermando di voler porre fine al massacro assumendo una posizione più aperta alla trattativa e soprattutto accusando il presidente di avere letteralmente saccheggiato le casse del paese portandolo alla bancarotta grazie anche alla complicità di una cricca di funzionari corrotti. La sua formazione si chiama Fronte Unito del Sud Sudan e forte dell’adesione ricevuta da tredici gruppi di opposizione, avrebbe voluto partecipare alle trattative di Addis Abeba che però sono state rinviate sine die.

Di fatto si è trattato dell’ennesimo fallimento avvenuto su una questione preliminare e di principio, cioè sul fatto che diversi partiti e milizie hanno accusato i mediatori dell’Igad (Intergovernamental Authority on Development, organizzazione internazionale politico-commerciale formata dai paesi del Corno d’Africa, fondata nel 1986 ndr) di avere ignorato le loro richieste e in particolare quella di far prendere parte ai colloqui di Addis Abeba il leader dell’opposizione armata ed ex vice-presidente Riek Machar Teny Dhurgon che è agli arresti domiciliari in Sudafrica.
Si trattava in questo caso di una pre-condizione perché di fatto ci sono altre profonde divergenze che ostacolano una ripresa dei negoziati e la rivitalizzazione dell’accordo di pace firmato nell’agosto del 2015.

Nodi da risolvere e conflitti etnici

Le questioni più spinose sono quelle che riguardano la composizione regionale della nuova nazione e il numero e le dimensioni degli stati federati, i tempi per il reinserimento delle milizie ribelli nelle forze armate sud sudanesi nella prospettiva di un esercito nazionale, la smilitarizzazione delle città e la creazione di nuovi apparati di sicurezza e la riforma dell’intero settore.
Possono sembrare, questi, aspetti da affrontare nella ricostruzione dopo avere raggiunto un accordo di pace. Di fatto rappresentano nel Sud Sudan quasi delle pre-condizioni. Il motivo è che la guerra in questo paese è praticamente scivolata sul piano di un conflitto etnico e la divisione del territorio in casi come questo è il primo oggetto di trattativa.

Fin dai primi mesi di guerra del 2014 i due avversari, il presidente Salva Kiir, di etnia dinka, e il suo ex vice presidente Riek Machar, un nuer, hanno innescato l’arma del conflitto etnico tra le due principali tribù del paese. Questo “ordigno sociale” ha la caratteristica che una volta innescato è difficile da governare e semina danni anche nel caso di un raggiungimento della pace. L’avvio di una trattativa non può fare a meno di tenerne conto e questo rappresenta uno dei principali handicap di un processo di pace che, peraltro, in Sud Sudan non è ancora cominciato.

L’immagine di copertina è tratta dal sito di Nigrizia (www.nigirzia.it)

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