Una fragile tregua

Tra Israele e Palestina non si ferma la tensione mentre nello Stato Ebraico si insedia il nuovo Governo e un appello chiede le dimissioni di Abu Mazen

Definire labile la tregua in Israele e Palestina è un eufemismo: i momenti di tensione sia in Cisgiordania che nella striscia di Gaza sono pressoché giornalieri.

Uno di questi è stato sicuramente la “Marcia delle bandiere” su Gerusalemme che si è svolta il 15 giugno. La marcia, organizzata ogni anno dagli ultranazionalisti israeliani e che segna l’anniversario dell’occupazione israeliana di Gerusalemme est nel 1967, doveva tenersi il 10 maggio ma venne rimandata a causa degli scontri provocati dagli sfratti di Sheikh Jarrah e dei successivi undici giorni di raid su Gaza che hanno causato la morte di 253 palestinesi e 13 israeliani e ha portato all’attuale tregua.

Per agevolare la Marcia, che ha attraversato tutta Gerusalemme, zona Est compresa, la polizia israeliana ha ordinato la chiusura delle attività commerciali palestinesi presenti lungo il tragitto e ha allontanato con forza chi protestava. Si sono verificati scontri nella zona Est: almeno 17 palestinesi sono stati arrestati e 33 feriti. Sulla tensione pesa poi l’appello dell’estrema destra israeliana che invita a partecipare a ulteriori marce e dimostrazioni il 21 giugno in varie città della Cisgiordania.

Dopo la Marcia, nella notte tra martedì e mercoledì, Israele ha poi lanciato attacchi aerei sulla Striscia di Gaza che hanno colpito i complessi di Hamas a Khan Younis e Gaza City. Secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz l’esercito israeliano avrebbe risposto ai palloni incendiari lanciati dalla Striscia e che hanno causato una ventina di incendi in campi aperti vicino al confine di Gaza. L’esercito israeliano ha poi aggiunto di essere “pronto per tutti gli scenari, inclusi nuovi combattimenti di fronte ai continui atti terroristici provenienti da Gaza”.

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Nuovo governo, vecchia Israele

Sul fronte politico Israele ha (dopo quattro elezioni e un grosso scontro politico interno) un nuovo governo. Dopo 12 anni al potere si è infatti conclusa l’era di Benjamin Netanyahu. Domenica 13 giugno il nuovo governo di coalizione guidato da Naftali Bennet ha ottenuto una risicatissima fiducia con 60 voti favorevoli, 59 contrari e un astenuto.

Secondo l’accordo raggiunto dalla coalizione l’esponente dell’estrema destra Bennet governerà per due anni con il leader del partito centrista Yair Lapid come ministro degli esteri, mentre per il resto del quadriennato Lapid diventerà premier e Bennet sarà ministro degli interni.

La coalizione del nuovo governo comprende otto partiti molto diversi tra loro: lo Yesh Atid di Yair Lapid, Yamina del premier Bennet, i laburisti, Meretz, la lista degli arabi uniti, Kahol Lavan e Yisrael Beiteinu.

Un appello per le dimissioni di Abu Mazen

Tutto fermo invece in Palestina, dopo che all’inizio di maggio sono state rinviate le elezioni a data da destinarsi. Intanto sono circa tremila gli accademici, intellettuali e personalità palestinesi, in parte residenti all’estero, che hanno firmato un appello per chiedere le dimissioni del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen. “Noi – si legge- sottoscritti, intellettuali, accademici e personaggi pubblici, ci rivolgiamo con questo appello al popolo palestinese con tutte le sue forze, al fine di spogliare ciò che resta della legittimità del presidente Mahmoud Abbas e domandare le sue dimissioni o la sua immediata rimozione da tutte le sue cariche”.

I firmatari invocano poi la ricostruzione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e l’elezione di una leadership alternativa. “In assenza di istituzioni nazionali reali ed efficaci – conclude l’appello – in grado di affermare questo fallimento politico…è diventato imperativo per tutti i segmenti della popolazione sollevare la loro voce in modo chiaro per chiedere la fine dei fallimenti provocati dallo stesso Mahmoud Abbas…Dichiariamo che questo presidente non ha più alcuna legittimità politica o nazionale e deve dimettersi immediatamente, o essere rimosso dalle tre posizioni di leadership che controlla. Chiediamo al nostro popolo palestinese di unirsi a questo appello e di iniziare una nuova pagina basata sull’unità della lotta e l’unità della terra e di iniziare a ricostruire l’Olp in modo unitario e rappresentativo per tutti e lanciando la resistenza popolare in tutta la terra occupata”.

*In copertina foto da Twitter

di red/Al.Pi

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