di Maurizio Sacchi
Il 21 settembre, Joe Biden ha parlato al Palazzo di vetro delle Nazioni unite: “Sono qui oggi per la prima volta in 20 anni con gli Stati Uniti non in guerra. Abbiamo voltato pagina”. Biden ha aggiunto che gli Stati uniti sono pronti per una nuova era e che intendono affrontare le moderne minacce transnazionali attraverso la diplomazia, gli aiuti allo sviluppo e le partnership, non la forza militare. Ma ha aggiunto che, anche se l’America non cerca una “nuova Guerra fredda“, intende comunque “competere vigorosamente” con le potenze emergenti che “non sempre condividono i suoi valori o interessi”
L’allarme sul rischio di una potenziale nuova Guerra fredda lo aveva lanciato subito prima Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, esortando la Cina e gli Stati uniti a rivedere il loro rapporto “completamente disfunzionale”, prima che i problemi tra i due grandi si riversino ancora di più sul resto del Pianeta.
Nella sua conferenza stampa, Guterres ha dichiarato che le due maggiori potenze economiche del mondo dovrebbero cooperare sul clima e negoziare in modo più robusto sul commercio e la tecnologia, anche se persistono fratture politiche sui diritti umani, l’economia, la sicurezza online e la sovranità nel Mar Cinese Meridionale. “Purtroppo, oggi abbiamo solo un confronto. Abbiamo bisogno di ristabilire un rapporto funzionale tra le due potenze (…) essenziale per affrontare i problemi della vaccinazione, i problemi del cambiamento climatico, e molte altre sfide globali che non possono essere risolte senza relazioni”. Già due anni fa, Guterres aveva segnalato il rischio che il Mondo si divida in due, con gli Stati uniti e la Cina che creano reti Internet, valuta, commercio, e regole finanziarie in conflitto, “(così come) strategie geopolitiche e militari a somma zero”.
In molti però dubitano che queste dichiarazioni, che segnano comunque una rottura col linguaggio dell’amministrazione Trump, rispecchino lo stato reale dei rapporti fra le due superpotenze. Sul piano della collaborazione in temi di commercio, sanità e clima occorrerà attendere mosse concrete; ma sul piano militare e strategico è possibile sia fotografare lo stato attuale degli equilibri, che gettare lo sguardo sui piani dei due colossi.
Spese militari. Gli Stati uniti sono di gran lunga coloro che spendono di più nel mondo, con un budget stimato a 778 miliardi di dollari l’anno scorso, che rappresenta il 39% della spesa militare globale totale, secondo i dati rilasciati dallo Stockholm International Peace Research Institute. Secondo lo stesso studio, la Cina è al secondo posto, ma molto distaccata, con una spesa stimata di 252 miliardi di dollari.
Carri armati. Gli Stati Uniti, con i loro 6.333 carri armati, possiedono la seconda più grande armata corazzata del mondo, dopo la Russia, mentre la Cina è terza con 5.800 carri armati, secondo Forbes.
Potenza aerea. L’America con più di 13.000 aerei militari, 5.163 dei quali sono gestiti dalla US Air Force, è leader incontrastato dei cieli. La aua aviazione include l’ l’F-35 Lightning e l’l’F-22 Raptor, i jet da combattimento più avanzati del mondo, secondo il rapporto 2021 World Air Forces pubblicato da Flight Global. La forza aerea cinese – composta dall’aeronautica dell’Esercito Popolare di Liberazione e dall’aeronautica navale dell’Esercito Popolare di Liberazione – è la terza più grande del mondo con più di 2.500 aerei, di cui circa 2.000 sono aerei da combattimento,.
Potenza navale. La Cina ha ora la più grande marina militare del mondo, con circa 360 navi rispetto alla flotta statunitense di 297, secondo un rapporto del Congresso USA. Ma questo calcolo include le navi più piccole, come le navi da pattugliamento costiero. Nel campo delle grandi navi da guerra strategiche, gli Stati uniti sono in grande vantaggio in numero, tecnologia ed esperienza. La Us navy dispone di 11 portaerei a propulsione nucleare, che possono navigare su distanze maggiori di quelle a propulsione convenzionale. Le portaerei sono in grado di ospitare 60 o più aerei ciascuna. In confronto, la Cina ha solo due portaerei – la Liaoning e la Shandong. Entrambe derivano dalla portaerei di classe Kuznetsov di progettazione sovietica degli anni ’80, e sono alimentate da motori convenzionali a petrolio e trasportano da 24 a 36 jet da combattimento J-15. Tuttavia, la Cina ha un piano ambizioso per eguagliare la forza navale degli Stati Uniti nella regione del Pacifico,e ha varato nel 2019 due dozzine di grandi navi da guerra – da corvette e cacciatorpediniere a due grandi portaerei. Ha in programma di lanciare una terza portaerei dotata delle più avanzate catapulte di lancio elettromagnetico e di iniziare i lavori per una quarta quest’anno.
Testate nucleari. Gli Stati Uniti hanno il secondo più grande arsenale nucleare del mondo dopo la Russia, seguiti dalla Francia al terzo posto e dalla Cina al quarto, secondo il sito web World Population Review. La Cina non ha rivelato quante testate possiede, ma il più recente rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sull’esercito cinese ha dichiarato che la scorta di testate della Cina è “attualmente stimata intorno ai 200”, mentre lo Stockholm International Peace Research Institute ha fissato il numero a 350 quest’anno. Una fonte vicina all’esercito cinese ha detto al South China Morning Post a gennaio che la sua scorta di testate nucleari era salita a 1.000 negli ultimi anni, ma meno di 100 di esse erano attive.
Tutte queste stime impallidiscono in confronto all’inventario totale degli Stati uniti di 5.800 testate nucleari, di cui 3.000 sono disponibili per il dispiegamento, con circa 1.400 testate già in stato di allerta. La Cina potrebbe avere la possibilità di colmare il divario nucleare dopo che gli Stati Uniti e la Russia hanno concordato all’inizio di quest’anno di estendere il loro nuovo trattato di riduzione delle armi strategiche al 2026. Il trattato limita sia Washington che Mosca a non più di 1.550 testate strategiche ciascuna.
Missili. Mentre gli Stati Uniti hanno molte più testate nucleari, la Cina ha un monopolio virtuale in un settore: i missili balistici basati a terra che possono effettuare sia attacchi nucleari che convenzionali. Gli Stati uniti hanno lanciato una variante a terra di un missile da crociera lanciato dal mare, seguita quattro mesi dopo da un nuovo missile balistico a raggio intermedio (IRBM). Ma la Cina ha ancora il sopravvento su questa classe di missili.
Uno scenario che nel complesso non fa pensare a una nuova Guerra fredda, almeno come quella che vide il confronto pluridecennale fra Usa e Unione sovietica. Pare impensabile che gli Stati uniti pensino ad un’aggressione, e certamente la Cina non punta sulla potenza militare per consolidare e ampliare il suo ruolo sul teatro planetario. Ma la vittoria nella Guerra fredda del secolo scorso fu ottenuta dagli Stati uniti anche per la pressione economica insostenibile esercitata sull’Unione sovietica dalla corsa agli armamenti. Questa produsse tra l’altro un diffuso malcontento nella popolazione, poiché il mantenimento di una forza militare costosissima fu pagato in termini di qualità della vita, e in uno scollamento irrimediabile fra i vertici e la base della società.
Ora che la gran parte degli osservatori ritengono inevitabile il sorpasso dell’economia dell’Impero di mezzo su quella a stelle e strisce, il timore che la Repubblica popolare divenga di fatto il novo leader mondiale può minare alla base ogni tentativo di ottenere quella collaborazione che il Segretario generale delle Nazioni unite auspica, e che apparentemente Joe Biden desidera. Si va diffondendo, anche nel campo più progressista occidentale, una sfiducia nella possibilità -o sulla desiderabilità- di un’intesa cordiale con il gigante asiatico. Il 14 settembre è uscito Fermare Pechino, l’ultimo saggio del giornalista e saggista Federico Rampini, che, nelle parole del suo editore Mondadori “ riflette sul lato oscuro del successo cinese e sui paradossi di una sfida planetaria tra Pechino e Stati Uniti (…). Fermare la Cina si deve? Si può? O è ormai troppo tardi, e dobbiamo prepararci alla sottomissione? (…) Nel suo nuovo libro Federico Rampini racconta una Cina nuova, nascosta e inquietante: tutto quello che Xi Jinping non vuole farci sapere. Il complesso di superiorità ancestrale e la cultura razzista, la rinascita del maoismo come reazione alle diseguaglianze, il riarmo e l’espansionismo militare.”
Sul riarmo cinese abbiamo riportato lo stato delle cose. Per quanto riguarda il “neomaoismo”, Rampini fa evidentemente riferimento a un recente intervento del presidente cinese Xi Jingping, che si è dichiarato preoccupato per l’aumentare delle diseguaglianze in Cina. Che la crescita cinese abbia creato “miliardari, celebrità, speculazione finanziaria”, a costo di una crescente ineguaglianza è però un dato incontrovertibile. E la condanna del tentativo di porvi rimedio pare un aspetto di una demonizzazione che non dice nulla di buono sulle reali prospettive di un cambiamento positivo nel rapporto fra la Cina e gli Stati uniti e i loro sostenitori.