Il 13 gennaio, l’ex colonnello siriano Anwar Raslan è stato condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità dalla Suprema corte regionale di Coblenza (Germania). La vicenda è stata vista come una vittoria della giustizia ma ha scatenato polemiche come spesso accade in processi del genere (se ne può leggere una sintesi qui). Abbiamo dunque pensato di riepilogare per i lettori dell’Atlante le varie fasi del processo conclusosi settimana scorsa in attesa dell’appello.
di Carlotta Zaccarelli
L’accusa a Raslan si basava sul ruolo che l’ex colonnello siriano ha avuto nella repressione del dissenso al regime di Bashar al-Assad. Nello specifico, l’ex ufficiale dell’Intelligence siriana è stato imputato di aver ordinato e in vario modo partecipato alla tortura di circa 4000 persone – 58 delle quali sono sicuramente morte a seguito dei maltrattamenti. Lo ha fatto mentre era a guida del carcere governativo al-Khatib di Damasco: la prigione, denominata anche Dipartimento 251, è conosciuta come “Inferno in Terra” per la brutalità delle condizioni in cui vivono i detenuti. Gli anni in questione sono 2011 e 2012, quelli in cui esplodevano le proteste contro il Regime Assad motivate prima da fame e povertà e poi dalla necessità di deporre un Governo incapace di amministrare il Paese. Era l’inizio della primavera siriana, che si è trasformata nell’inverno della guerra ancora in corso.
Inverno che non ha trovato Raslan in Siria, ma a Berlino. Il colonnello è fuggito dal suo Paese nel 2012, arrivando in Germania come rifugiato politico. Sempre in Germania, nel 2019 è stato arrestato. Nell’aprile del 2020 è iniziato il processo contro di lui. Alla sbarra, anche un suo sottoposto fuggito come lui in Germania: Eyad al-Gharib, questo il nome, è stato condannato il 24 febbraio 2021 con l’accusa di favoreggiamento di crimini contro l’umanità per aver arrestato e portato ad al-Khatib almeno 30 partecipanti alle manifestazioni del 2011.
Le sentenze sono arrivate grazie alle dichiarazioni di oltre 80 testimoni, tra cui organizzazioni non governative, avvocati siriani, ex dipendenti del Governo Assad e vittime delle torture di Raslan. Molte di loro temono ora per la propria vita e l’incolumità delle loro famiglie, alcune hanno deciso di non partecipare al processo. Ma a confermare inequivocabilmente le loro parole c’è stata una documentazione ben fornita, che raccontava di una strategia politica elaborata dalle autorità per reprimere nella violenza e nella paura l’opposizione ad Assad. Il Governo siriano ha quindi usato sistematicamente la tortura per soffocare il malessere dei Siriani.
Per questo, il processo di Coblenza è importante: è il segnale mandato al Regime di Damasco che la sua impunità potrebbe essere arrivata alla fine. Assad è ancora protetto dal fatto che la Siria non riconosce l’autorità della Corte penale internazionale. Il tribunale non può portare avanti processi in territorio siriano. Nel 2014, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva cercato di garantire alla Corte un mandato speciale per perseguire i crimini più gravi commessi nel Paese, ma Russia e Cina hanno bloccato l’iniziativa con il proprio veto. Ciò che ha permesso alla Germania di portare avanti il processo è il principio di giurisdizione universale, per cui è possibile perseguire un imputato accusato di crimini particolarmente gravi indipendentemente dal luogo in cui si trova. È l’unico strumento per ora efficacie contro il Governo siriano. Ora Raslan può ricorrere in appello contro la sua sentenza. Intanto, decine di migliaia di persone continuano a sparire in Siria. Oltre 100mila sono già evaporate. Molte fagocitate dal sistema di carceri governative.
In copertina il fotogramma di un servizio della Bbc sul processo