di Cristiano Vezzoni
C’è un numero magico nelle elezioni presidenziali americane: 270. Il numero di grandi elettori che un candidato deve raggiungere per essere eletto presidente degli Stati Uniti. L’elezione del presidente degli Stati Uniti non è infatti a suffragio diretto. Ognuno dei 50 stati elegge un numero di grandi elettori in proporzione alla sua popolazione. A loro volta i grandi elettori eleggono il presidente. In ogni Stato l’elezione è secca e il candidato che prevale si prende tutti i grandi elettori. In totale i voti espressi dai grandi elettori sono 538 e per diventare presidente un candidato deve conquistarne la metà più uno: 270, appunto. A un giorno dalle elezioni, quanti sono i voti stimati per ciascuno dei candidati? Se si considerano gli Stati in cui il risultato sembra ormai deciso, la Clinton ha un netto margine di vantaggio su Trump. I voti «sicuri» a favore della Clinton nei cosiddetti «Stati blu», il colore dei Democratici, sono 268. I voti sicuri per Trump nei cosiddetti «Stati rossi» Repubblicani si fermano a 204. Ci sono poi gli Stati definiti «campi di battaglia» (battleground), dove l’esito è ancora incerto. Sono quelli dove si determina il risultato dell’elezione presidenziale. Molti ricorderanno come nel 2000 il risultato finale che portò all’elezione di Bush junior fu determinato dalla sua vittoria di misura, meno di 2000 voti di scarto, in Florida. E anche nella odierna elezione la Florida rimane uno degli stati incerti, insieme a Arizona, Nevada, New Hampshire e North Carolina. Alla Clinton basta una vittoria in uno degli stati contesi per superare la fatidica soglia di 270 voti e chiudere la partita. Trump dovrebbe invece vincere in tutti gli Stati in bilico per poter ribaltare le aspettativa della vigilia. Una strada estremamente stretta e in salita. Salvo sorprese. Sì, sorprese, perché tutti questi calcoli sono basati su risultati di sondaggi e modelli matematici che ultimamente non hanno dato grande prova di sè. Certo negli Stati Uniti l’investimento in questo esercizio predittivo è enorme. Ma nonostante questo, lo strumento rimane esposto ad errori. Raggiungere alcuni settori della popolazione diventa sempre più difficile, le persone non sempre sono disponibili a dire cosa intendono votare e comunque i sondaggi sono svolti prima del giorno delle elezioni e quindi non possono cogliere i cambiamenti dell’ultima ora. Non è un caso che in questi giorni di vigilia al voto si sia cominciato a parlare con insistenza di un possibile esito a favore dei Repubblicani in alcuni stati prima dati per certi ai Democratici. In particolare due stati sono sotto la luce dei riflettori: Michigan (16 voti) e Pennsylvania (20 voti). E, non a caso, sia la campagna della Clinton che quella di Trump stanno concentrando i loro ultimi sforzi proprio in questi due Stati. Se martedì notte cominciassimo a vedere delle sorprese e i risultati in alcuni stati-chiave risultassero diversi dalle stime dei sondaggi, i conteggi che abbiamo proposto sopra dovrebbero essere riconsiderati e le sorti della competizione elettorale potrebbero riaprirsi. Certo questo non sembra probabile. Rimane verosimile che il prossimo presidente degli Sati Uniti sarà Hillary Clinton (oggi projects.fivethirtyeight.com la dà al 68% di probabilità di vittoria in risalita). È realistico però aspettarsi che l’esito della competizione elettorale non sarà così impari come qualche settimana fa si prevedeva. E questo avrà sicure ripercussioni sul modo in cui il voto sarà recepito dall’elettorato americano. Nel terzo dibattito Trump aveva dichiarato che si riservava la possibilità di non riconoscere il voto in caso di sconfitta perché «le elezioni sono truccate» (sic!). Il rischio è che una vittoria risicata della Clinton possa esacerbare ulteriormente gli animi, accentuando le fratture di una società americana che sembra oggi divisa tra due visioni del mondo difficilmente conciliabili.
foto tratta da http://www.planetblog365.com/elezioni-presidenziali-usa-lady-clinton-supera-trump-nelle-quote/