India, stop alle demolizioni anti islam

I tribunali si chiedono se il programma "israeliano" che colpisce i presunti colpevoli di violenze comunitarie non sia un caso di pulizia etnica

di Emanuele Giordana

Una decisione dell’Alta corte del Punjab e dell’Haryana ha messo per il momento fine a un programma di demolizioni di case e negozi di musulmani nello Stato indiano dell’Haryana. Una pratica con cui le autorità degli Stati governati dal Bjp, il partito al governo del premier Narendra Modi, puniscono i supposti colpevoli di violenze comunitarie: una colpa che ricade ciclicamente sui musulmani.

La giustizia indiana sembra dunque rimettere le cose in ordine nel marasma politico che l’India sta attraversando da che il partito ultranazionalista di Modi – primo ministro dal 2014 – regola i suoi conti con le comunità che non sono devote alla religione indù, la base su cui si articola il nazionalismo del suo Bharatiya Janata Party, partito conservatore e identitario che ha dato prova di comportamenti razzisti nei confronti delle minoranze. Le decisioni dei tribunali hanno fermato ieri un’ondata di distruzioni che, secondo Al Jazeera, avrebbe demolito almeno 300 tra negozi e abitazioni cui han fatto seguito oltre 150 arresti. Fonti ufficiali non hanno per ora dato numeri rispetto agli effetti della cosiddetta “vendetta dei bulldozer”. Ma i giudici dell’Haryana vogliono vederci chiaro: “Si pone anche la questione – si sono chiesti – se gli edifici appartenenti a una particolare comunità vengano abbattuti con il pretesto di un problema di ordine pubblico e se lo Stato stia conducendo un esercizio di pulizia etnica”.

Le demolizioni, iniziate giovedi scorso nel distretto di Nuh, nello Stato dell’Haryana, seguono agli incidenti avvenuti l’ultima notte di luglio quando ultranazionalisti indù hanno dato fuoco alla moschea di Gurugram (Gurgaon), una città a maggioranza indù vicino a New Delhi, dove hanno ucciso il naib (vice imam) Mohammad Saad di 22 anni che vi si trovava all’interno. Un attacco a poche ore dalle prime violenze comunitarie scoppiate nel vicino distretto di Nuh. Secondo le ricostruzioni ancora oggetto di indagine, gli scontri sono iniziati dopo che un corteo organizzato dal noto gruppo indù di estrema destra Vishwa Hindu Parishad (Vhp) e dalla sua ala giovanile – Bajrang Dal – hanno raggiunto il distretto a maggioranza musulmana di Nuh a circa 85 km dalla capitale e poco più a Sud di Gurugram. I due gruppi hanno affermato di essere stati oggetto di una sassaiola che avrebbe infiammato gli animi in una zona dove i musulmani sono quasi l’80% dei 280mila residenti dell’area. A quel punto la catena di violenze sarebbe poi arrivata fino a Gurugram, la città di 180mila residenti del distretto omonimo più a Nord. Ieri però il diritto sembra aver avuto ragione di una pratica che si pensava fosse tradizione solo del peggior modo di operare degli israeliani. La campagna di demolizione lanciata dall’amministrazione distrettuale nell’area di Nuh è stata così interrotta su mandato del vice commissario del distretto, Dhirendra Khadgata, che ha reso esecutivi gli ordini giudiziari.

Il clima in India si è fatto sempre più teso in seguito a una serie di leggi e di azioni (come le demolizioni) promosse dall’ultra destra indù. Tra le tante controverse decisioni, quella che il 5 agosto 2019 ha revocato gli Articoli 370 e 35A della Costituzione che riconoscevano allo Stato di Jammu e Kashmir (J&K) – a maggioranza musulmana e conteso col Pakistan – un’ampia autonomia. Cessava di essere uno “Stato” per diventare un “Territorio dell’Unione” amministrato da Delhi. L’abrogazione ha fatto decadere anche la norma che vietava ai non kashmiri di acquisire proprietà nel J&K.

Nella foto in copertina, l’Alta corte di Haryana © Ankit95/Shutterstock.com

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