Africa: Shell, raddoppia i profitti ma finisce in tribunale

Il gigante dell’energia raggiunge quote record, ma festeggia il traguardo alla sbarra. Accusata da due comunità nigeriane per i danni ambientali e sociali causati dalle sue attività

di Marta Cavallaro

La settimana scorsa è stata densa di alti e bassi per il gigante petrolifero Shell. Giovedì 2 febbraio la multinazionale con  sede a Londra britannica ha dichiarato di aver registrato il fatturato annuale più alto da sempre: con un profitto di 39,9 miliardi di dollari accumulato nel corso del 2022, la Shell superato le quote raggiunte nel 2008 (circa 28,4 miliardi di dollari) segnando un nuovo record annuale. L’azienda ha superato di gran lunga le aspettative di crescita: i suoi profitti sono infatti raddoppiati nell’arco degli ultimi dodici mesi, considerando che l’utile registrato nel 2021 ammontava a 19,29 miliardi di dollari. Una performance simile è stata registrata dagli altri colossi del mercato dell’energia, come le statunitensi ExxonMobil con un fatturato record di 59,1 miliardi di dollari per il 2022 e Chevron che ha raggiunto invece 35,5 miliardi di dollari. C’è chi parla di effetto Ucraina, indicando che i numeri alle stelle annunciati con orgoglio nel settore dell’energia siano dovuti all’impennata dei prezzi di petrolio e gas all’indomani dell’invasione russa.

Il gigante Shell non ha fatto in tempo a festeggiare. Il record superato ha attirato l’attenzione e le critiche di politici, che vorrebbero imporre tasse più alte alle aziende petrolifere, e degli ambientalisti, che accusano la compagnia per la devastanti conseguenze ambientali delle sue attività e per la mancanza di investimenti in fonti di energie pulita. La compagnia è accusata di greenwashing. Nonostante dichiari di voler azzerare le sue emissioni entro il 2050, i progressi registrati sono minimi. In più, secondo quanto denunciato dal gruppo ambientalista Global Witness, la Shell avrebbe incluso gli investimenti fatti nel settore del gas nella categoria delle soluzioni energetiche ecosostenibili dei suoi report annuali. In questo modo, la compagnia venderebbe una falsa immagine del suo impegno ambientalista agli investitori e al resto del mondo.

Ma il colpo più grande alla compagnia petrolifera è stato quello di cui si è parlato di meno. Circa 11 mila persone della comunità nigeriana di Ogale, situata nel delta del fiume Niger, si sono rivolte all’Alta Corte di Londra accusando la Shell di essere responsabile per l’inquinamento delle loro fonti di acqua e per la distruzione del loro stile di vita. La richiesta della comunità di Ogale si aggiungono alle oltre 2 mila denunce presentate nel 2015 dai membri della più piccola comunità di Bille. Il numero totale delle richieste di risarcimento presentate ammonta oggi a 13.650.

Ogale è una comunità rurale di circa 40.000 persone mentre Bille è prevalentemente una comunità di pescatori che conta circa 13.000 abitanti. L’accesso ad acqua pulita e potabile dei due territori sarebbe stato messo a dura prova dalle attività del gigante petrolifero. Secondo quanto dichiarato da Leigh Day, lo studio legale britannico che sta rappresentando le due comunità, il ramo del fiume delta che costituisce la principale fonte di acqua potabile per gli abitanti di Ogale, da cui dipendono anche attività di agricoltura e pesca, sarebbe gravemente inquinato e contaminato da petrolio. L’inquinamento avrebbe ucciso le specie acquifere e rovinato i terreni agricoli. Anche a Bille l’acqua potabile sarebbe inquinata e il petrolio avrebbe ucciso la maggior parte dei pesci e dei molluschi presenti nei fiumi. La popolazione di pescatori di Bille è rimasta senza un’importante fonte di cibo e di reddito. Tutto ciò avrebbe provocato un cambiamento fondamentale nello stile di vita della comunità: un popolo che prima viveva principalmente di pesca ora non è più in grado di pescare.

La Shell è presente in Nigeria dal 1956, quando scoprì per la prima volta i giacimenti di petrolio nel delta del Niger. Da allora le sue operazioni nel Paese continuano a rappresentare una parte significativa dei profitti complessivi dell’azienda. Secondo the Intercept, la Nigeria rimane il più grande produttore di petrolio in Africa e la Shell continua a ricavarci guadagni ingenti: oltre 30 miliardi del famoso fatturato da record registrato dalla compagnia nel 2022 sarebbero da ricondurre alle attività della Nigerian Petroleum Development Company (NPDB), la società sussidiaria controllata dalla Shell nel Paese. Il costo delle attività del colosso sulla popolazione e sugli ecosistemi locali è stato sottolineato negli anni da diverse istituzioni. Un report pubblicato nel 2011 dal Programma per l’Ambiente dell’ONU (UNEP), risultato di 3 anni di ricerca dettagliata sul campo, sottolinea come la popolazione di Ogale fosse esposta quotidianamente a grave rischio di contaminazione da petrolio, con conseguenze sulla qualità delle fonti d’acqua, dell’aria e dei terreni agricoli. L’UNEP raccomandava di adottare misure di bonifica urgente, avvertendo che esisteva “un pericolo immediato per la salute pubblica”. Un secondo report redatto l’anno scorso da un gruppo di ONG dimostra che, a distanza di 12 anni, le comunità rimangono in attesa delle famose opere di bonifica e i residenti continuano a bere da pozzi contaminati. Amnesty International ha definito la regione del delta del Niger “uno dei luoghi più inquinati della terra”.

Qual è la posizione della Shell? Il colosso insiste nell’affermare di non avere alcuna responsabilità per le conseguenze delle operazioni della NPDV, nonostante la Corte Suprema del Regno Unito abbia stabilito a febbraio del 2021 che ci sono buone basi legali per dedurre che la compagnia madre Shell sia legalmente responsabile dell’inquinamento causato dalla sua filiale nigeriana. In più, secondo la Shell le comunità non avrebbero diritto a richiedere opere di bonifica e risarcimenti per le fuoriuscite avvenute più di cinque anni prima dalla presentazione delle denunce. Infine, la compagnia cerca di difendersi affermando che molte delle fuoriuscite sarebbero dovute al furto di petrolio grezzo da parte di bande armate organizzate. Il futuro del caso sarà chiaro sono nei mesi avvenire, con la prossima udienza da fissare nella primavera di quest’anno.

Intanto, con il proliferare delle accuse nei suoi confronti, la Shell ha deciso di lasciare la Regione. Nel 2021, la compagnia ha annunciato il suo piano per lasciare il delta del Niger vendendo i suoi giacimenti petroliferi e lasciandosi alle spalle qualsiasi forma di responsabilità per i disastri ambientali causati. La compagnia è stata costretta a sospendere le vendite a giungo, a seguito di una sentenza della Corte Suprema nigeriana che obbligava la società ad attendere l’esito di un ricorso per una fuoriuscita di petrolio, presentato nel 2019 in un tribunale nigeriano, in cui si richiedeva il pagamento di quasi 2 miliardi di dollari di risarcimento alle comunità del delta del Niger.  Per le comunità di Ogale e Bille il tempo stringe. Non resta altro che aspettare e avere fiducia in una giustizia che fa lentamente progressi verso il riconoscimento della responsabilità di aziende private per danni ambientali e sociali. Qualche precedente positivo esiste: nel 2018, con una sentenza storica, la Shell è stata dichiarata colpevole dalla Corte d’Appello dell’Aia per i danni causati ad un gruppo di agricoltori nigeriani da una fuoriuscita di petrolio. Non resta altro che sperare che le comunità di Ogale e Bille possano un giorno godere di un simile lieto fine.

L’immagine di copertina è tratta dal sito della Shell. Nel testo il fiume NIger e gli Stati che attraversa (Hel-hama own work)

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