La violenza non si arresta nella Repubblica Centrafricana. L’attacco ad una missione cattolica che ospita circa 20mila sfollati e rifugiati ha provocato oltre 40 vittime e decine di feriti in pochi giorni. Epicentro della violenza la città di Alindao, a circa 300 chilometri a est della capitale, Bangui. La conferma delle morti, trapelata in più notizie di stampa internazionale, è stata confermata dall’Onu. Tra i morti ci sarebbero anche i due sacerdoti, ritrovati carbonizzati nei pressi di Alindao.
Gli attacchi sono stati attribuiti alla fazione Upc (Unité pour la paix en Centrafrique) composta da ribelli filoislamici ex Seleka agli ordini del generale Ali Darassa, di etnia peul. La strage sarebbe seguita all’esecuzione di un musulmano, ucciso il 14 novembre dai miliziani cattolici noti come anti-balaka. A causa della nuova ondata di violenza, partita nella giornata del 15 novembre e che ha comportato il saccheggio e il rogo di migliaia di case, di tre campi che ospitavano 27.000 sfollati e un mercato in città, circa 10mila persone sono scappate in un ospedale a Batangafo a circa 400 chilometri a Nord di Bangui.
A detta della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite nel Paese (Minusca) in seguito a questo attacco una chiesa è stata bruciata e migliaia di persone sono state costrette a fuggire. In una dichiarazione di sabato 17 novembre la missione ha condannato le ultime violenze che “hanno provocato la perdita della vita, lo spostamento di massa di sfollati interni e la distruzione di proprietà” e ha dichiarato di aver implementato le proprie misure di sicurezza.
La Minusca ha schierato sul territorio circa 12.500 unità e rappresenta una delle più grandi missioni di mantenimento della pace. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato proprio il 15 novembre il rinnovo della missione, nonostante gli accesi dibattiti sulla sua effettiva capacità di arginare i disordini.
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