Biden scongela metà del “tesoro” afgano

Una parte dei 7 miliardi di dollari fermi nelle banche americane potranno tornare nel Paese. Ma senza passare dalle mani dei Talebani

di Emanuele Giordana

Il Presidente americano Joe Biden ha deciso ieri il destino di quei 7 miliardi di dollari della Banca centrale afgana “congelati” nelle casse della Federal Reserve dove si trovavano il 15 agosto quando il governo di Ashraf Ghanio crollò sotto la spinta talebana. Una scelta politica e giuridica che spezza in due gli asset congelati: parte del denaro – 3,5 miliardi – tornerà in Afghanistan ma non nelle casse del regime che ha vinto la guerra. Gli altri 3,5 miliardi resteranno congelati in attesa che la magistratura americana decida sulla richiesta di 150 familiari delle vittime dell’11 settembre che vogliono che una parte dei fondi li ripaghi della loro sofferenza. I fondi congelati superano in totale i 9 miliardi di dollari: quel che resta oltre i 7 in America si troverebbe soprattutto in Germania, Svizzera, Emirati e Qatar. Il contante “fisico”stampato su ordine della Banca centrale afgana si trova invece in Polonia. La mossa di Biden non è piaciuta: in molti si chiedono – soprattutto afgani, Talebani o meno, – quanto sia legale decidere di soldi che appartengono, nel bene  o nel male, a un altro Paese. Un brutto precedente.

I 3 miliardi per l’Afghanistan scongelati confluiranno in un fondo fiduciario per assistenza umanitaria ma tenendolo fuori la cassa dalle mani dei talebani. Ma la creazione del trust fund non sarà un meccanismo semplice perché la creazione di quel fondo e l’elaborazione dei dettagli legali potrebbero richiedere diversi mesi. Resta dunque lo schiaffo per il regime e un’attesa incerta sulla tempistica. La decisione garantisce una punizione ai nemici mentre riconosce il diritto ai cittadini americani di essere ripagati per la strage del 2001. Due piccioni con una fava.

Un’altra partita, questa si eminentemente umanitaria, si è giocata intanto a Ginevra , dove una delegazione talebana, su invito della Ong elevetica Appel de Genève, ha avuto colloqui ad alto livello proprio per snellire le pratiche che, benché già ufficialmente sollevate da sanzioni, ancora impediscono un flusso di denaro cospicuo che possa pagare stipendi e beni di prima emergenza. L’Emirato islamico dell’Afghanistan ha adottato – ha spiegato l’Ong mediatrice – una dichiarazione umanitaria che copre questioni cruciali tra cui la protezione e la fornitura di assistenza sanitaria e istruzione per tutti gli afgani, il rispetto delle questioni umanitarie e la salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio culturale.

Intanto, mentre continuano le pressioni per sapere che fine hanno fatto quattro donne, solo per citare gli ultimi casi che riguardano attiviste e cui si è aggiunto l’arresto di due giornalisti stranieri, un’altra partita si gioca a livello geopolitico, alla periferia del paese dell’Hindukush. Dopo un rapporto del Consiglio di sicurezza Onu sulla riorganizzazione dello Stato islamico provincia del Khorasan – la branca dell’Isis attiva in Afghanistan – i cinesi hanno espresso preoccupazione per le truppe del East Turkestan Islamic Movement, un gruppo jihadista uiguro che avrebbe le sue basi nel Badakhshan e da cui minaccerebbe la regione dello Xinjang. Anche con un altro sponsor dei Talebani le cose non vanno bene: col Pakistan, oltre alle rituali schermaglie alla frontiera, c’è la vicenda del Tehrek-e-Taleban Pakistan (Ttp) i cugini pachistani dei Talebani afgani che continuano ad avere le loro basi in Afghanistan e da cui attaccano obiettivi in Pakistan. Irritando ovviamente Islamabad.

In copertina, la Fed americana. Nel testo la lettera di Biden che contiene l’ordine esecutivo firmato l’11 febbraio e il logo della Banca centrale afgana

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