Fame, scontri e sfollati: allarme in Congo

Fame, denutrizione, guerra e fuga. Non si placa l’emergenza della Repubblica Democratica del Congo.

Secondo un nuovo rapporto di Fao (FAO) e del Programma Alimentare Mondiale (WFP) sarebbero 7.7 i milioni di persone che stanno affrontando la fame acuta nella Repubblica Democratica del Congo con un aumento del 30% rispetto allo scorso anno.

Il colpevole della fame ha un nome ed è il continuo conflitto subito soprattutto nelle regioni di Kasaï e di Tanganyika. Uno dei protagonisti degli scontri è la milizia armata del Kasai, chiamata Kamwina Nsapu dal nome del capo tribale ucciso dall’esercito governativo.

Nelle zone rurali più di una persona su dieci soffre di fame acuta e oltre un milione e mezzo di persone si trovano ad affrontare livelli d’insicurezza alimentare di “emergenza”. La gente è quindi costretta a vendere tutto quello che ha e saltare o ridurre i propri pasti.

“Nelle aree del conflitto, gli agricoltori hanno visto i loro villaggi e i loro campi depredati. Non sono riusciti a piantare nulla nelle ultime due stagioni. Mancano i mercati locali per coprire i bisogni alimentari. L’insieme del conflitto e delle infestazioni di insetti lafigma che hanno distrutto i raccolti in oltre un quarto dei vasti territori del paese è devastante per la popolazione rurale. Senza un tempestivo sostegno urgente, la situazione peggiorerà”, ha detto Alexis Bonte, Rappresentante ad interim della FAO nel paese.

Negli ultimi tre mesi i prezzi dei prodotti alimentari sono molto aumentati. La malnutrizione cronica colpisce il 43% dei bambini sotto i cinque anni, più di 7 milioni di bambini.

“Il WFP è estremamente preoccupato per la sicurezza alimentare e la nutrizione, che stanno peggiorando in molte parti della RDC”, afferma il Direttore del WFP nella  RDC, Claude Jibidar. “Ma in nessun posto la situazione è più allarmante che nel Kasaï. Invitiamo tutte le parti a consentire il passaggio di assistenza salvavita e la comunità internazionale a contribuire a alla fornitura di questi aiuti urgenti”.

Per questo FAO e WFP chiedono un aumento urgente della fornitura di alimenti salvavita e dell’assistenza specialistica per combattere la malnutrizione, nonché di sementi e attrezzi in modo che gli agricoltori possano tornare a seminare e recuperare i propri mezzi di sostentamento.

Il conflitto tra il governo centrale e alcune popolazioni tribali è precipitato negli ultimi tre mesi e la violenza fatta di villaggi bruciati e stupri di massa sta sconvolgendo il cuore del Paese, la regione del Grand Kasai.

L’Agenzia Onu per i diritti umani è stata in grado di registrare ad oggi 465 vittime in totale, di cui 428 persone uccise dall’esercito e 37 dai miliziani ma potrebbero essere molte di più.

Infatti sono già 80 le fosse comuni ritrovate e documentate dall’Onu, che ha accusato pubblicamente l’esercito regolare di Kinshasa di essere il principale responsabile.

Due funzionari delle Nazioni Unite sono stati ritrovati morti e secondo una prima indagine, sarebbero stati uccisi dai militari proprio mentre stavano documentando le fosse comuni realizzate dall’esercito regolare.

Dai dati di Unhcr, da agosto 2016, 1,4 milioni di persone sono state costrette a lasciare i propri villaggi a causa delle violenze, circa 850 mila sarebbero bambini. Una fuga verso Sud, principalmente in Angola dove sono arrivati già 40 mila sfollati.

Da qui l’appello dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Unhcr), che ha chiesto al presidente Joseph Kabila di intervenire “immediatamente per impedire l’espandersi delle violenze e per rispettare l’obbligo di proteggere tutta la popolazione, qualunque sia l’etnia di appartenenza, nella regione del Kasai”.

A dicembre il presidente Joseph Kabila, che ha già completato due mandati presidenziali e non è più eleggibile, si era rifiutato di indire le elezioni. Dopo mesi di trattative si era arrivati ad una nuova data: dicembre 2017, che pare però che sia stata già ritrattata.

Un allarme arriva anche da Medici Senza Frontiere. Più di 500mila persone sono sfollate nella provincia di Tanganyika. Circa la metà vive nella città di Kalémie e nei dintorni. Nel mese di agosto molti stati costretti a fuggire a causa delle violenze e hanno cercato rifugio in città.

Le condizioni di vita sono inaccettabili e molti dormono per terra negli edifici scolastici o nei complessi di Moni, Filtisaf, Hodary e Lubuye. “Sono sopravvissuti a diversi attacchi e sono stati costretti ad abbandonare i loro rifugi precedenti. Ogni volta, perdono qualcosa e molti non hanno più niente”, dice Stéphane Reynier de Montlaux, coordinatore di emergenza di MSF.

MSF gestisce cliniche mobili dal mese di aprile e negli ultimi tre mesi, MSF ha effettuato 16.410 visite, la maggior parte per malaria, malnutrizione e casi di morbillo in bambini al di sotto dei cinque anni.

Nell’area manca ancora acqua potabile e, di conseguenza, c’è il rischio di malattie ed epidemie. Le condizioni degli sfollati sono durissime: vivono in rifugi di paglia, costruiti uno attaccato all’altro. A luglio ci sono stati incendi in almeno cinque insediamenti, tra cui Moni, Lukwangulo, Kabubili, Kateke e Katanyika.

Msf mette in allerta in vista della imminente stagione delle piogge. “Per le persone che vivono in condizioni di sovraffollamento, senza acqua potabile, si teme un’epidemia di colera. La malattia è endemica in quest’area e MSF si prepara quindi a fornire assistenza medica in caso di necessità, anche con una campagna di vaccinazione”.

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