Bosnia: trent’anni di incertezze

Il 1°marzo 1992 il referendum per l'indipendenza del Paese. Una ricostruzione di quei giorni che hanno portato all'inizio di un conflitto che non è forse mai veramente finito

di Edvard Cucek

Sono passati 30 anni dal referendum con il quale la terza repubblica della ex Jugoslavija, dopo la Slovenia e la Croazia, ha proclamato l’indipendenza dalla ormai dissoluta Federazione jugoslava, come precedentemente stabilito alla cosiddetta Commissione di Badinter del dicembre 1991. Al referendum del1 °marzo 1992 votò il 63,7% degli aventi diritto, ovvero 2.073.568 di cittadini. I favorevoli erano il 99,7%, lo 0,3% i contrari. I principali partiti dei serbo bosniaci, come il Sds (Partito Serbo Democratico di Radovan Karadžić, condannato per crimini di guerra) invitarono tutti i Serbi della Bosnia ed Erzegovina a non votare.

Questa data in cui la maggioranza dei cittadini bosniaco erzegovesi votò l’indipendenza, (ovviamente che le etnie dei Croati bosniaci e Bosgnacchi mussulmani hanno dato il loro contributo) si ricorda anche come una delle tre date a cui si attribuisce il vero inizio della sanguinosa guerra bosniaca con più di 100mila morti e innumerevoli danni e tragedie. Mentre il Referendum per la maggior parte dei bosniaci significava il diritto di vivere nel loro paese sovrano, riconosciuto nei propri confini al livello internazionale, per i serbo bosniaci significava “dividere il mondo serbo”, staccarsi dagli altri serbi, con i quali volevano assolutamente continuare a vivere nello stesso Stato, includendo i territori dove loro erano quasi la maggioranza, oppure quei territori che ritenevano indispensabili per la loro sopravvivenza in quello che la Bosnia sarebbe diventata.

Il 1°marzo 1992, durante un corteo nuziale di rito ortodosso, un criminale sarajevese di nome Ramiz Delalić detto Ćelo (Calvo), impiegato sia nel mondo criminale ma anche agendo per i servizi segreti da Belgrado a Sarajevo, uccise il Padre dello sposo, il serbo bosniaco Nikola Gardovićil, e ferì gravemente il prete ortodosso, nel cuore di Sarajevo, a Bašaršija. Per i serbo bosniaci era il segnale chiaro che dovevano prendere in mano le armi. Oggi possiamo dire che questo tragico episodio non serviva a niente perché le armi nelle mani di tutti i Serbi della ex Jugoslavija c’erano già, ancor prima dell’inizio dell’aggressione alla Croazia.

Dalla primavera del 1991 di fatto e come progetto ancora da qualche anno prima, ai vertici dei partiti nazionalisti serbi non serviva assolutamente una morte a Bašaršija per realizzare i loro piani criminali. Già l’esito del Referendum bastava per avviare la difesa del proprio popolo e dei confini del territorio bosniaco. Le prime vittime durante i due giorni di Referendum erano già cadute a Travnik, nella Bosnia centrale. Due serbo bosniaci uccisi dai loro connazionali durante un tentativo di passare il posto di blocco senza fermarsi.

Dunque le vittime c’erano già state ma soltanto che chi ha ucciso quei due uomini non fu “quello giusto” per far quadrare i conti. Per questo il 2 marzo 1992 Sarajevo si sveglierà piena di barricate poste dalle forze militari serbe. Quelle paramilitari e quelle che volevano ancora far credere al mondo che erano le forze ufficiali dell’Esercito Popolare Jugoslavo, sempre messe a disposizione di un popolo soltanto, quello serbo, e in sua difesa.

Per i serbo bosniaci questa data rappresenta l’inizio della loro guerra di difesa e per i diritti vitali. Per i sarajevesi, a prescindere dalle appartenenze etniche o religiose, fu l’inizio di più vergognoso e sanguinoso assedio di una città, la capitale di un Paese, della storia moderna. Come lo fu anche per il resto del mondo. Per gli altri, quelli che amano chiamarsi patrioti bosniaco erzegovesi e per quelli che lo erano davvero, si tratta della guerra per il diritto alla patria e ai diritti vitali. Un mese dopo, il 1°aprile 1992 le formazioni militari e paramilitari dalla Serbia entrarono sul suolo bosniaco facendo le stragi dei non serbi nella zona della città di Bijeljina, nella Bosnia nord orientale. Per la cronaca la Bosnia ed Erzegovina fu attaccata il 1 ottobre 1991, quando le formazioni militari ancora nelle divise dell’Esercito Popolare Jugoslavo, ma già sotto il commando di Slobodan Milosevic rasero al suolo un piccolo paese, Ravno, di maggioranza croato bosniaca nella Erzegovina orientale durante l’avanzata verso Dubrovnik sulla costa croata. Purtroppo per il Governo di Sarajevo quel paesino non era molto importante in quei giorni.

Per concludere, non sappiamo se la guerra in Bosnia ed Erzegovina è mai effettivamente finita. La quotidianità bosniaca ce lo conferma. E purtroppo tutt’oggi non sappiamo nemmeno quando è veramente cominciata. Anche se non ha più tanta importanza.

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