Colombia: sale il conto dei morti e la protesta continua

Oltre una ventina di vittime  e 5mila arresti marcati da  abusi della polizia. Duque tenta il dialogo

di Maurizio Sacchi

Sale drammaticamente il conto delle vittime in Colombia e sono ora almeno 23 i morti, secondo la Fiscalía del Cile e secondo l’ Instituto de derechos humanos (INDH),  a cui si aggiungono 5012 persone arrestate e 1778 feriti ricoverati in ospedali. La Defensoría del Pueblo, organo ufficiale di controllo per i diritti umani, aveva appena emanato il suo primo rapporto sulle conseguenze dello sciopero generale del 28 aprile. Secondo la Defensoria, i morti accertati, con nome e cognome, erano al 3 di aprile 19, 11 dei quali nella sola città di Cali, la terza per importanza del Paese, dove gli scontri sono stati più duri. L elenco dei morti interessa la capitale Bogotá (1), Neiva (1), Ibagué (1), Pereira (1), Madrid (1), Yumbo (1), Soacha (1) y Medellín, con un caso.Tutti questi civili.Il 29 di aprile , a Soacha, sobborgo industriale della capitale, è stato ucciso con una coltellata Jesús Alberto Solano Beltrán, capitano della Policía nacional, mentre, .secondo  il rapporto della polizia, tentava di impedire azioni di saccheggio e vandalismo.

E  di vandalismo parla anche il governo di Ivan Duque, che dopo aver dovuto ritirare la legge di riforma tributaria all’origine delle proteste e essersi visto cancellare dalla piattaforma di Twitter un twit in cui giustificava l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine, ora tenta di usare questo aspetto delle proteste di massa per metterne in ombra la portata: Dietro alle violenze vi sarebbero le “mafie del narcotraffico” [che]  “si nascondono dietro alle legittime aspirazioni sociali per destabilizzare la società, generare terrore, e distrarre lle azioni della Forza pubblica”. Nemmeno il ritiro della riforma fiscale però ha arrestato le proteste. i promotori dello sciopero  hanno dichiarato che le manifestazioni continueranno tutta la settimana settimana e che il 5 maggio ci sarà un altro sciopero nazionale.   “La gente in piazza chiede molto di più dell’eliminazione della riforma”, ha detto Francisco Maltés, presidente del Sindacato centrale dei lavoratori colombiani, aggiungendo che la brutale risposta della polizia ha “ridotto le garanzie democratiche per la protesta sociale”.

Intanto a Bogotà la sindaca Claudia López ha chiesto al ministero della Difesa di aiutare le stazioni di polizia dove sono  finiti 2.825 detenuti in seguito alle proteste. Il distretto ha riferito che 91 feriti nella notte, 72 dei quali civili e 19 agenti di polizia.  La stessa sindaca ha poi dichiarato che “in nessuna circostanza abbiamo sollecitato l’intervento dell’Esercito”, e che Bogotà “non sarà militarizzata”; in risposta alle voci di un possibile dispiegamento delle Forze armate nelle strade della capitale. Marta Hurtado, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha dichiarato a Ginevra, parlando dei fatti di Cali: “Quello che possiamo dire chiaramente è che abbiamo ricevuto rapporti, e abbiamo testimoni, (di) uso eccessivo della forza da parte di agenti di sicurezza, che si sono usate armi  con munizioni vere, percosse di manifestanti e detenzioni illecite”.

Ora Duque tenta la carta del dialogo. E proprio mentre si prefigura  un’altra settimana di proteste, ha convocato per il 5  maggio i presidenti delle Cortes,  del Senato e della Camera oltre ai dirigenti delle agenzie di controllo; il 6 maggio è previsto un incontro con i sindaci delle capitali di dipartimento; e l’8 con i governatori di dipartimento. Solo per lunedì 10 maggio è all’ordine del giorno l’incontro con i leader del Comitato nazionale per lo sciopero, e il 12 maggio con gli studenti.  E a seguire la rappresentanza degli atotrasportatori, che hanno aderito allo sciopero, e altri rappresentanti della società civile. Fino al 20 maggio. Ma intanto la protesta monta, e nessuno nel governo mostra la volontà e la capacitù per frenare gli abusi della polizia.

Una situazione esplosiva, che si innesta su un Paese che dal 20 aprile vede almeno 400 morti al giorno per Covid-19, conto da stimare ampiamente in difetto, data la scarsa capacità di un servizio pubblico fatiscente non solo di curare, ma anche di identificare e diagnosticare. E continua inarrestabile anche l’eccidio di leader comunitari ed indigeni, oltre che di ex guerriglieri che hanno deposto le armi in seguito alla pace del 2016. Ma qui i killer sono principalmente paramilitari, e tutto avviene ben distante dallo sguardo dei media, o dalle telecamere dei telefoni, che hanno illustrato con abbondanza di immagini le violenze di questi giorni.  In attesa del secondo sciopero generale, che si annuncia gravido di minacce.

Nell’immagine, uno scatto di J. Arco per Unsplash

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