Covid-19: “rischio molto elevato”, ma non (ancora) pandemia

Per l’Oms quelle del coronavirus  sono “epidemie tra loro collegate,” non una pandemia. Intanto sorgono le prime ripercussioni politiche: i rischi per le Olimpiadi di Tokyo 2020, l’incertezza attorno alle elezioni legislative in Corea del Sud, il bando del commercio di animali selvatici in Cina e le difficoltà del turismo internazionale.

di Elia Gerola.

Con più di 83 mila casi e quasi 4 mila morti Covid-19 ha ormai raggiunto sei continenti su sette e causando più di 4350 casi al di fuori della Cina, in 49 diversi Paesi. Stiamo assistendo, spiega Michael Ryan, direttore esecutivo del programma per le emergenze dell’Oms, durante la conferenza stampa quotidiana del 28 febbraio da Ginevra, a “epidemie tra loro collegate, in molti paesi”. Al 28 febbraio ad esempio, aggiunge il Direttore Generale Tedros, 14 Stati hanno ottenuto test positivi su 24 persone totali provenienti dall’Italia, mentre 11 paesi hanno registrato un totale di 97 casi tutti connessi all’epidemia iraniana di Covid-19. Tuttavia, vi è un rapporto diretto tra l’essere stati in determinate aree geografiche (i cosiddetti clusters) e l’essere stati infettati con la malattia. In altre parole, il rischio di ammalarsi di Covid-19 non è ancora uguale in tutto il Pianeta.

Vi sono quindi focolai epidemici precisi e circoscritti, che però sono ancora contenibili. Gli esperti dell’Oms spiegano infatti: “Il virus non si sta diffondendo liberamente nelle varie comunità,” non siamo quindi in presenza di una pandemia.  Sicuramente, aggiunge però il Direttore Generale, siamo ad un livello di allerta non più “alto” ma “molto alto,” a causa dell’elevata infettività del coronavirus in questione. Innalzamento, che non vuole soffiare sull’allarmismo, spiega, ma richiama alla responsabilità internazionale fondata su: “attenzione per i dati, razionalità e solidarietà”.

L’Oms raccomanda quindi di continuare le politiche di contenimento, pur sapendo che un approccio unico per tutti gli Stati non sarebbe sostenibile e fruttuoso. Infatti dei 49 Paesi coinvolti: 8 non registrano un caso da più di due settimane, 23 ne hanno rilevato in assoluto solo uno, e un buon numero degli altri 23 ha meno di 10 ammalati totali. Isolare gli infetti e le zone focolaio è quindi essenziale per arrestare da un lato la catena di trasmissione del virus da una persona all’altra; permettendo dall’altro ai sistemi sanitari nazionali di operare al meglio, senza dover gestire contagi di massa o comunque avendo tempo per prepararsi al meglio anche allo scenario peggiore. Una tale logica, come chiarisce Theresa McClenaghan, deriva dal cosiddetto “principio di precauzione”, atto proprio ad agire preventivamente per minimizzare le possibili ripercussioni negative di un evento.

Età, stato generale di salute precedente all’infezione, e luogo geografico nel quale si risiede: sono questi i tre fattori principali determinanti la severità di Covid-19 e la prognosi degli infetti. Lo mostrano studi epidemiologici recenti e lo spiega il direttore dell’Oms. Il fattore non biologico che può fare la differenza è quindi la qualità dell’assistenza sanitaria ricevibile dai malati. Come infatti mostra chiaramente l’innovativo Global Health Security Index rilasciato nell’inverno 2019 dall’ONG Nuclear Threat Initiative, i diversi Stati del mondo presentano differenti capacità di risposta ed assistenza sanitaria ad eventi epidemiologici emergenziali. Il divario tra queste capacità rispecchia in parte il divario tra Paesi economicamente sviluppati e Paesi ancora in via di sviluppo, che spesso differiscono per: numero di medici/personale sanitario in rapporto alla popolazione, numero di ospedali disponibili, numero di posti letto per eventuali ricoveri, disponibilità di equipaggiamento sanitario/farmacologico disponibile e reperibile in breve tempo.

L’implementazione di un robusto contenimento dei focolai è quindi finalizzata a non intasare gli ospedali così da “rallentare” la diffusione dei contagiati dando fiato agli operatori sanitari. Non tutti i paesi sarebbero infatti in grado di mobilizzare le risorse umane, economiche e tecniche, così come non possiedono dei sistemi legali, che permetterebbero loro di costruire, come riportato dalla BBC, un nuovo ospedale d’emergenza come è avvenuto invece in Cina, nella cittadina di Wuhan in appena 6 giorni.

Coronavirus

Dall’altra chiarisce ancora Ryan, la classica influenza annuale è una pandemia, mentre Covid-19 non lo è ancora. Il monito è quindi quello di stare attenti a non impiegare termini tecnici in maniera colloquiale e impropria. L’influenza è una pandemia perché tutti gli abitanti del globo hanno probabilità di contrarla in un certo periodo dell’anno. In questo caso il contenimento sarebbe inutile poiché divenendo temporaneamente endemica, l’influenza stagionale riguarda tutti gli oltre 7 miliardi di abitanti del Globo, senza alcuna possibilità di contenimento. Le politiche preventive sono dunque altre: vaccinazioni delle categorie a rischio, così come assistenza post-contagio. Per l’Oms Covid-19, non è quindi ancora una pandemia, poiché come argomentato nel rapporto prodotto dall’indagine sul campo condotta da un team di esperti in Cina , con “robuste e tempestive” politiche sanitarie, il virus è contenibile. Chiosa quindi Ryan, sebbene la parola pandemia sia “attrattiva, non è semplicemente adeguata ora come ora”, non avrebbe quindi senso muoversi verso la mitigazione ed abbandonare il contenimento, spiega.

Nel frattempo gli effetti multidimensionali socio-economici dell’epidemia e della relativa infodemia stanno emergendo pesantemente. Vi abbiamo già parlato di ciò in un altro articolo (consultabile a questo link), sono però ormai paradigmatici quattro casi, nei quali le conseguenze politico-legislative potrebbero essere traumatizzanti.

In Corea del Sud, ad aprile, vi saranno le elezioni legislative nazionali e se prima dell’epidemia la vittoria del fronte democratico sostenitore dell’attuale Presidente Moon Jae-in sembrava ormai cosa fatta, ora il clima è cambiato. Come osserva infatti l’editorialista del Korea Hereald Kim Hoo-Ran, a causa della narrazione allarmistica generale, e della campagna di strumentalizzazione attuata dall’opposizione per screditare la gestione della crisi da parte del Governo in carica, la situazione potrebbe cambiare. Le due accuse principali rivolte al Presidente sono di non aver chiuso abbastanza presto i confini con la Cina e di non aver impedito aggregazioni di massa come quelle delle “mega-chiese” di Seul.

Altra situazione politicamente ed economicamente tesa è quella che sta vivendo il Governonipponico di Shinzo Abe. Il primo Ministro nazionalista rischia infatti, qualora l’emergenza internazionale non dovesse rientrare, di veder sospendere l’evento che avrebbe dovuto consacrare la sua presidenza, ovvero i Giochi Olimpici di Tokyo 2020. Nonostante il Comitato Olimpico Internazionale (COI) si sia detto fiducioso nei confronti delle autorità locali e la Commissione Organizzatrice di Tokyo abbia confermato la prosecuzione dei preparativi, come viene puntualizzato dal quotidiano nipponico Ashai Shimbun, il COI avrà comunque l’ultima parola. Per salvaguardare la salute degli atleti avrebbe dunque tutto il diritto legale di annullare unilateralmente la realizzazione delle Olimpiadi.

Vi abbiamo già riportato le pesantissime ripercussioni economiche che hanno visto diminuire drasticamente la produzione industriale ed i consumi interni cinesi, immediate sono state però anche le conseguenze politico-legislative nel Paese del Dragone. Oltre all’azzeramento dei vertici politici della Provincia di Hubei (riportato dal NYT), ritenuti incapaci nella gestione iniziale della crisi dal Governo centrale di Pechino, sono da segnalare due ulteriori sviluppi. Il primo è osservato tra gli altri dal Guardian, che sottolinea come il Congresso annuale del Partito Comunista Cinese, l’evento politico più importante dell’anno, sia stato posticipato. A tal proposito, ha osservato amaramente l’editorialista Ma Jian, come Xi Jinping abbia tutelato l’élite politica del Paese invitando invece le Province cinesi mediamente colpite a riprendere la produzione industriale il prima possibile, subito dopo l’implementazione delle prime misure di contenimento. Dall’altra, riporta il South China Morning Post, che essendo stato accertato il fatto che il mercato del cibo di Wuhan, dove vengono commerciati animali selvatici sia vivi che morti, leccornie della cucina sinica, è stato un focolare cruciale per la diffusione del nuovo coronavirus, il governo ha predisposto la messa al bando del commercio di tali animali selvatici. Il danno economico conseguente, che si aggiunge a quello culturale, si aggirerebbe attorno ai 74 miliardi di dollari annui e rischia di vedere essere lasciato sulla strada dall’oggi al domani, un indotto complessivo di 14 milioni di lavoratori.

Infine, problema comune a tutti gli Stati giunti agli onori delle cronache internazionali per gli elevati livelli di contagiati è quello del danno d’immagine internazionale con ripercussioni pesanti sul settore turistico. Cina, Corea del Sud, Italia e Iran vedono questo settore contribuire rispettivamente per l’11%, 2,7%, 13,5%, 6,5% del loro Pil nazionale annuale, come riportato dal World Travel and Toruism Council. Così, proprio al fine di provare a calmierare i possibili danni economici a breve/medio termine, l’Oms ha rilasciato il 27 febbraio un comunicato congiunto con l’Agenzia Onu per il Turismo (Unwto), richiamando alla responsabilità e coordinazione tra gli Stati, invitando quelli non/meno colpiti ad assumere e consigliare politiche “misurate, coerenti e proporzionate” alla minaccia di salute pubblica presente effettivamente.

Immagine di copertina: quartier generale Oms, a Ginevra.

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