Droghe, la svolta (difficile) di Petro

Per il Presidente della Colombia «è giunto il tempo di accettare che la guerra alla droga è fallita e di arrivare ad una nuova convenzione internazionale» 

di Alessandro De Pascale

A mezzo secolo dalla guerra globale alla droga, lanciata e imposta al Mondo intero dagli Stati Uniti allora guidati da Richard Nixon, sempre più nazioni chiedono di invertire quella rotta proibizionista. L’ultima in ordine di tempo è la Colombia, dove per il nuovo Presidente Gustavo Petro, il primo di sinistra nella Storia del Paese, «è giunto il tempo di accettare che la guerra alla droga è fallita e di arrivare ad una nuova convenzione internazionale» delle Nazioni Unite. La proposta del suo Governo, che ha archiviato gli anni al potere del suo predecessore di estrema destra filo-statunitense Iván Duque, è di porre fine al proibizionismo, legalizzando il mercato della cocaina con l’obiettivo di toglierlo dalle mani di gruppi armati e cartelli della droga.

La Colombia, primo produttore al mondo di questa sostanza psicoattiva, è la nazione che ha pagato il prezzo più alto della guerra alla droga. Il fallimentare “Plan Colombia” da 7 miliardi di dollari, lanciato dagli Usa nel 1999 e volto a combattere il narcotraffico ha finanziato eradicazioni della pianta, fumigazioni delle coltivazioni (il lancio dagli aerei di glifosato) e la militarizzazione del Paese che intensificando i combattimenti ha provocato la morte di centinaia di migliaia di colombiani. Ma nonostante ciò il commercio della cocaina ha raggiunto ormai livelli record e la coltivazione della coca sia è più che triplicata in questi decenni. Già nell’ambito dell’accordo di pace firmato nel 2016 tra l’allora governo e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) all’esecutivo colombiano venne raccomandato di giungere ad una regolamentazione legale delle droghe.

Secondo diversi analisti è difficile che la Colombia possa arrivare da sola ad una regolamentazione del mercato della cocaina. Particolare di cui è cosciente anche lo stesso governo. L’economista Felipe Tascón, il quale nel nuovo esecutivo Petro ha la delega sulle droghe, sta cercando di incontrare i suoi omologhi regionali per arrivare ad una “coalizione” in grado di sostenere la loro proposta colombiana. «Attualmente quasi solo Argentina e Brasile sono proibizionisti», chiarisce all’Atlante l’attivista e ricercatore indipendente Andrea Balice, esperto di geopolitica delle droghe e conoscitore del contesto sudamericano dove ha operato per quasi un decennio. Ecco perché Tascón sta partendo da Perù e Bolivia, altri Paesi produttori di cocaina guidati da persone di sinistra.

Nei primi anni Duemila alcuni ex presidenti sudamericani si coalizzarono chiedendo in un documento la fine del proibizionismo regolarizzando il mercato. Proposte accolte e ampliate nel 2011 dalla la Global Commission on Drug Policy, organizzazione internazionale fondata da ex capi di Stato o di governo, da leader esperti e noti del mondo politico, economico e culturale. Tale Commissione, ritenuta tra i più autorevoli soggetti internazionali che sostengono politiche sulla droga basate su prove scientifiche, diritti umani, salute pubblica e sicurezza, nel maggio 2020 ha prodotto un nuovo documento ancora più incisivo.

Uno dei primi alleati del nuovo esecutivo colombiano potrebbe essere la Bolivia, nazione dove nel 2000 il Governo di  Evo Morales aveva iniziato a consentire legalmente la coltivazione di coca in quantità limitate. Da allora, questo è l’unico Paese ad esportare foglie di coca destinate al mercato mondiale: 30.954 tonnellate prodotte legalmente nel 2020 ma appena 148,9 tonnellate esportate, tutte negli Stati Uniti dove vengono utilizzate sia nella produzione di sottoprodotti che per l’estrazione di aromi.

«I Paesi sudamericani hanno intenzione di riformare l’attuale politica sulle droghe, ma diventa difficile pensare di regolamentare la produzione di questa sostanza nell’attuale contesto globale», denuncia Balice ad atlanteguerre. «Anche se a livello regionale nascesse una forza capace di aprirsi ad un cambio progressista delle onde sudamericane di questi anni – continua l’attivista e ricercatore indipendente esperto di geopolitica delle droghe – alle Nazioni Unite si scontrerebbero non solo con gli Usa, ma anche con Cina e Russia che stanno promuovendo proibizioni ancora più dure delle attuali». Facile quindi pensare che ad essere rapidamente attuabile possa essere l’altra proposta del governo colombiano di Petro: la depenalizzazione dell’acquisto, del possesso e del consumo di sostanze psicoattive, sul modello portoghese in vigore dal 2001. Attualmente i colombiani possono già detenere piccole quantità di sostanze psicoattive per uso personale: 20 grammi di marijuana, cinque di hashish, uno di cocaina e derivati, due di metaqualone. «Già negli anni Settanta, in piena dittatura, l’Uruguay aveva depenalizzato il consumo delle sostanze, scelta che denota a livello storico il loro imprinting liberale», ricorda Balice all’Atlante. Mentre nel 2013 è stato il primo Paese al mondo a legalizzare la produzione, l’uso e la vendita della cannabis.

In copertina, foglie di Erythroxylum-coca: immagine di Sten Porse. Nel testo, Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen 

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