Etiopia: le donne “arma di guerra”

Nel conflitto africano lo stupro torna protagonista: le testimonianze

di Sarvish Waheed 

Numerose fonti riportano notizie atroci provenienti dallo Stato africano:  le continue vessazioni nei confronti dei civili hanno colpito gran parte della regione del Tigrai, la protagonista indiscussa del conflitto iniziato a novembre 2020. Si stima che più di 100 mila donne abbiano subito violenze sessuali riconducibili a questa guerra, e che oltre il 40% nel solo Tigrai abbiano subito discriminazioni di genere durante lo scontro. Circa il 90% di queste, non ha avuto accesso a cure mediche adeguate, accesso ad ospedali e supporto psicologico, come spiega tra gli altri questa inchiesta del  New York Times,

I dati che vengono a galla confermano un effetto domino non di poco rilievo: il 15% delle vittime stuprate hanno contratto l’Hiv. L’epidemia rischia di dilagare in un contesto di emergenza umanitaria totale; sotto la lente di ingrandimento internazionale emergono come principali colpevoli le truppe del governo centrale etiope, le truppe alleate dell’Eritrea e le forze armate della regione confinante col Tigrai, Amhara – oltre che i paramilitari tigrini stessi. Fra le altre regioni colpite da questi stupri ci sono quella dell’Afar, Amhara e quella più centrale dell’Oromiya.

La guerra civile è iniziata a novembre 2020, quando il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplf) attacca le basi federali, colpendo e uccidendo i soldati del governo centrale. Il contrattacco non ha tardato ad arrivare e il conflitto vedrà, fra il 2020 e il 2022, un progressivo isolamento della regione Tigrai da parte di Addis Abeba: cibo, acqua ed energia elettrica verranno tagliati nel tentativo di distruggere qualsiasi tipo di ribellione. Il casus belli fonda le sue radici nella grande divisione etnica all’interno del Paese. Il Primo Ministro Abiy Ahmed Ali ha sempre sostenuto l’importanza di modernizzare l’Etiopia attraverso riforme radicali, combattendo il federalismo etnico e favorendo la centralizzazione del potere. Questo punto di vista viene da subito contestato dal partito tigrino che per decenni ha detenuto la guida del Paese.

In questo clima di guerra – una delle più sanguinose degli ultimi anni – le testimonianze delle donne vittime di stupri, iniziano ad essere al centro dell’attenzione internazionale e fanno dubitare dell’efficienza dell’accordo raggiunto fra le forze tigrine e il governo etiope a Pretoria nel novembre 2022.  Cruciale il racconto di una donna etiope proveniente dalla città di Kokob Tsibah – madre di 37 anni – che riporta quanto accaduto nel periodo dell’incontro che avrebbe dovuto sancire la fine delle ostilità: Sono stata rapita da soldati eritrei. Mi dissero che non importava se avessi urlato o meno, nessuno mi avrebbe salvata. Mi hanno violentata per tre mesi da allora. Facevano i turni.” La sua testimonianza, insieme a quella di altre 48 donne, è stata il catalizzatore che funge da colonna portante per quanto sostiene Amnesty International: nonostante gli accordi per cessare le violenze e il fuoco, le atrocità inflitte ai civili non hanno mai visto fine; i soldati eritrei hanno commesso crimini come stupri di gruppo, sfruttamento sessuale prolungato ed esecuzioni di uomini sommarie. Dello stesso tenore le denunce di Human Rights Watch.

Da Amnesty sono state intervistate 11 donne vittime di stupro e detenzione nel distretto di Kokob Tsibah. Alcune di loro sono state violentate all’interno delle basi dell’Edf (Forze di difesa dell’Eritrea), altre nelle loro case, oppure dentro a dimore occupate dagli stessi soldati. Una vittima ha riportato di aver subito abusi per tre giorni consecutivi da parte dell’Edf in una casa da loro occupata, per poi essere spostata in una loro base, insieme ad altre 14 donne. Ha continuato dicendo che non era concesso loro uscire per essere medicate o vedere familiari. Sempre secondo le testimonianze, sono state detenute perché i loro familiari erano sospettati di fare parte delle forze tigrine.

Shila è un’altra testimone chiave dei crimini commessi in Etiopia. Vittima della tratta sessuale nella città di Mekelle, ha dato alla luce una bimba in conseguenza ad uno stupro. Suo marito, un miliziano tigrino, era partito per la guerra da tempo. Dopo averlo creduto morto, questo è ritornato dopo tre anni: Ho aspettato a lungo un suo ritorno, ma ero anche preoccupata che potesse giudicarmi e dire a tutti quello che mi era successo, lasciandomi da sola.” Assistenti sociali sul posto e medici hanno confermato che molte delle donne sono state rifiutate dai mariti, specialmente quelle che in seguito agli stupri hanno avuto gravidanze e figli.

In copertina una creazione grafica di Amnesty International

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