Gaza e Varsavia sono il metodo

di José Steinsleger* – La Jornada de México

Uno. Tra l’eroica resistenza dei ribelli di Gaza (in corso) e l’eroica  resistenza del ghetto di Varsavia  (aprile/maggio 1943), c’è, indomabile, il diritto del popolo alla ribellione.

Due. Insieme alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, Gaza è l’esempio della “soluzione finale” (sic) del “problema palestinese”, così come Varsavia è stato un capitolo più lungo della “soluzione finale” del cosiddetto “problema ebraico”.

Tre. Accadde così che la Seconda guerra mondiale iniziò con l’invasione tedesca della Polonia (1 Settembre 1939). E un anno dopo, a Varsavia, i nazisti distrussero un quartiere centrale “ariano” e ci confinarono 35 milioni di ebrei polacchi (un terzo della popolazione totale della capitale).

Quattro. Tuttavia, nel 1943, all’improvviso, i membri di un miserabile corteo di ebrei destinati ai campi di sterminio, imbracciarono delle armi da fuoco e spararono contro le temibili SS e i soldati incaricati di vigilare sulla polizia. E dopo cinque giorni di combattimenti, i nazisti ricorsero ai cannoni per demolire gli edifici dove i “subumani” (sic) si erano nascosti.

Cinque. Il 16 febbraio Heinrich Himmler, capo delle SS, ordinò che il ghetto fosse raso al suolo «con implacabile tenacia» (Léon Poliakov, Breviario delodio, 1951, pp. 276-284). Non è stato così facile. Il 19 aprile, la rivolta generale si era stabilizzata, e i contingenti ebraici che avevano recuperato armi, granate ed esplosivi dall’esterno (trasportati attraverso… tunnel!), hanno resistito tenacemente.

Sei. Nessuno è sopravvissuto e, alla fine, non c’è stato nessun trionfo strategico. Ma da un punto di vista militare la rivolta fu una sorpresa psicologica per i nazisti. Nel suo diario, Joseph Goebbels annotava: “La ribellione del ghetto ha rivisto il carattere di un’epopea ebraica a sé stante, e così sarà considerata in futuro” (The Goebbels diaries, Londra, 1948, pp. 268 e 273). .

Sette. Tuttavia, il 7 ottobre, le Brigate Al-Qassam (ala militare del partito Hamas) hanno rotto la prigione di Gaza e, come gli ebrei del 1943, hanno incontrato l’esercito che (prima) si vantava di essere il “più efficiente”, etico e morale del mondo.

Otto. Omettiamo spesso, con deliberata amnesia, che questa storia è partita nel 1948, quando l’entità terroristica chiamata Israele scatenò la Nabka. Un termine che si riferisce allo stesso olocausto palestinese.

Nuove. Il 23 giugno 2023,  il ministro della Sicurezza Ben-Gvir, parte della leadership del regime guidato da Benjamin Netanyahu, ha lanciato un’operazione militare speciale su larga scala in Cisgiordania: “I militari devono uccidere migliaia di palestinesi etichettati come ‘terroristi, espandere i rapimenti illegali a Gerusalemme Est e demolire gli edifici palestinesi”.

Dieci. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) governa la Cisgiordania e Hamas governa Gaza. Così, dopo le parole di BenGvir, i palestinesi sono entrati in un dibattito simile a quello del consiglio direttivo ebraico (Judenrat) nel ghetto di Varsavia.

Undici. Lo Judenrat ha respinto la resistenza armata, sostenendo che non c’erano prove di una minaccia di deportazione. “Qualsiasi resistenza armata porterà i nazisti a intraprendere ritorsioni collettive”. La maggioranza riteneva che il momento non fosse giunto e che fosse necessario attendere “l’evoluzione degli eventi”.

Dodici. Argomenti infondati, poiché il 3 settembre 1941, ad Auschwitz, i forni crematori avevano cominciato a funzionare, e nel ghetto di Varsavia l’Organizzazione Ebraica di Lotta (ZOB, sigla polacca), e l’Unione Militare Ebraica (ZZW), furono informate che alla Conferenza di Wansee (Berlino, gennaio 1942), l’intera leadership nazista si era accordata sull’applicazione della “soluzione finale”.

Tredici. Alla fine della guerra, lo scrittore cattolico tedesco Ernst Wiechert (1887-1950) si rivolgeva ai giovani tedeschi dicendo: “La nostra colpa ci faccia capire che dobbiamo espiare duramente e a lungo; che non possiamo aspirare alla felicità, alla casa e alla pace mentre altri hanno perso la loro felicità, la loro casa e la loro pace a causa nostra…” (Teatro da Camera di Monaco, novembre 1945).

Quattordici. Parole al vento. Scrivo queste righe alla vigilia della “soluzione finale” del “problema palestinese”, che avrà luogo nella città di Rafah. Situata al confine con l’Egitto, Rafah si estende su 64 chilometri quadrati e, fino al 7 ottobre, contava 150mila abitanti. Ma ad oggi sostiene un milione e mezzo di profughi nel mirino dei macellai nazi-sionisti, con il sostegno di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea.

Quindici. Il nostro ringraziamento va al ricercatore venezuelano Diego Sequera, che ha recuperato il commento di un altro eccellente analista, il tedesco Tarik Cyril Amar: “Ci stanno addestrando ad accettare la modalità genocida della guerra come la nuova normalità […] Gaza è un metodo. Un metodo occidentale applicato dall’Israele fascista, sionista e sadico, pioniere dell’apartheid e avanguardia di chi sta in alto rispetto a chi sta in basso”.

Da Other-news.info

*Giornalista e scrittore argentino residente in Messico. Negli anni ’80 si stabilisce in Ecuador, dove è membro del comitato di redazione, responsabile della scrittura, editing e design della rivista trimestrale CHASQUI, pubblicazione del Centro Internazionale di Studi sul Giornalismo in America Latina (CIESPAL). Editorialista de La Jornada de México.

*Foto di Dylan Shaw su Unsplash

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