Dopo che la Brexit e il successivo periodo di transizione sono terminati, allo scattare dell’anno 2021, iniziano a farsi sentire le conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’UE e – di conseguenza – anche i problemi. Questa volta non è l’IRA a minacciare la tenuta dell’accordo di pace bensì – secondo i lealisti, ovvero la fazione che sostiene l’appartenenza dell’Irlanda del Nord al regno di sua maestà la Regina Elisabetta II – l’assetto stabilito nei negoziati sulla Brexit.
Il monito, inviato in una lettera al governo di Londra e al Taoiseach di Dublino (il capo del governo della Repubblica d’Irlanda), è che se le cose non cambieranno, l’accordo di pace che aveva concluso quasi trent’anni di conflitti civili nel paese rischia la “distruzione permanente”. Per questo, i lealisti non ci stanno più: piuttosto di restare in un accordo non più mantenuto, ritirano formalmente il loro supporto al trattato di pace. La lettera è firmata dal Consiglio delle Comunità Lealiste, un gruppo che raccoglie in sé numerosi gruppi paramilitari come il famoso e sanguinario Red Hand Commando, ma anche l’Ulster Defence Association e l’Ulster Volunteer Force. Il rimprovero non è certo nuovo: si sapeva fin dall’inizio che con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il vantaggioso assetto “morbido” dei confini che era stato un pilastro dell’accordo di pace del Venerdì Santo sarebbe venuto meno. Il dibattito era allora caduto su dove posizionare il confine per gli scambi commerciali, sapendo benissimo che un confine duro tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord avrebbe posto sul piede di guerra gli unionisti (coloro che si battono per un’isola d’Irlanda unita, come il famoso Irish Republican Army), mentre un’ipotesi di “backstop” nel mare del nord avrebbe scontentato i lealisti.
Non solo un problema tra culture diverse, quella irlandese e quella britannica, ma anche un dramma per l’economia – prevalentemente agricola – delle quattro province nordirlandesi: legate a doppio filo alle imprese d’oltreconfine, che rappresentano la maggior parte dell’import-export di Belfast e dintorni.
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La scelta di Westminster, suggellata con l’accordo del 30 Gennaio 2020 ed oggi contestata, era caduta sul mare d’Irlanda. Mentre il confine geografico rimane invariato, l’Irlanda del Nord gode da oggi di un regime commerciale vantaggioso che le permette di interfacciarsi con il mercato irlandese – dunque europeo – senza aggravi né costi aggiuntivi: in pratica, Belfast e dintorni rimangono nel mercato comune europeo. Controlli, certificazioni e costi di natura non tariffaria riappaiono però negli scambi con la madrepatria, ovvero quando le merci attraversano il mare d’Irlanda. È questo a far torcere il naso ai lealisti, che nella lettera rivendicano a chiare lettere: i gruppi paramilitari avevano abbandonato le armi, nel 1998, solo perché soddisfatti dalle condizioni contenute nell’Accordo di Belfast. Condizioni che ora però sarebbero rimesse in discussione dall’accordo di recesso dall’UE, e che rimetterebbero sul piede di guerra i gruppi violenti che – in realtà – non hanno mai smesso di farsi sentire nel Paese.
Il ritiro dei gruppi lealisti si presenta, al momento, come una provocazione: un invito ai governi britannico, irlandese, e implicitamente anche alla Commissione Europea. Dopo aver alzato la voce, qualche giorno prima, in una manifestazione indetta dal personale portuale di Belfast e subito colorita dalla partecipazione di esponenti di fazioni paramilitari, i lealisti sentono il bisogno di dare un segnale concreto, un primo – allarmante – passo che pare pronto a giustificare violenze future. Eppure, il malcontento non è nuovo, né limitato solamente al lato filo-britannico: è condiviso da molte parti sociali il sentore che la Brexit sia stata decisa troppo lontano, dietro le porte chiuse dei palazzi di Londra, e senza tenere conto di un processo di pace non ancora terminato.
Intanto, in un quartiere tipicamente lealista di Belfast, la polizia nordirlandese sta investigando su un graffito che sarebbe rivolto al ministro inglese Gove. Vi si legge: “noi non dimentichiamo, noi non perdoniamo”. Una filosofia che in Irlanda del Nord è ancora dura a morire.
(Red/L.Fri.)
*In copertina: il porto di Belfast in foto di Dimitry Anikin, Unsplash
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