di Theo Guzman
La Giunta birmana ha celebrato giovedi un po’ in sordina il terzo anno di governo dal golpe del febbraio 2021, mettendo a bilancio l’ennesimo rinnovo del pugno di ferro. Min Aung Hlaing, il capo della Giunta che molte voci danno in difficoltà anche dentro i ranghi colpisti – tanto da ipotizzare una sua sostituzione – si è limitato a dire che l’esercito del Myanmar farà “tutto il necessario” per schiacciare l’opposizione al suo Governo. Intanto, mentre l’ex leader birmana e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è ancora in carcere, la guerra avanza e l’apparenza tranquilla delle poche città sotto lo stretto controllo di Tatmadaw (l’esercito che risponde ai militari golpisti), a prima vista può ingannare. Ma a farci caso si capisce presto che qualcosa non va. Durante la giornata dell’anniversario a Yangon e Mandalay le strade sono rimaste deserte per una sorta di sciopero silenzioso. Punito chi ne ha pubblicato le immagini su Facebook.
Nei giorni normali il traffico è comunque meno caotico e alle pompe di benzina, quando non sono chiuse, c’è una lunga fila e la benzina è razionata. Costerebbe poco più di un dollaro al litro al cambio ufficiale, ma ormai il cambio ufficiale è solo un bollettino senza alcun riscontro col mercato reale: così evidente che persino in un aeroporto internazionale, dove atterrano voli a mezza capienza, i cambiavalute scambiano l’euro a 1.000 kyat in più del cambio ufficiale. Con un’inflazione del 30%, che incide soprattutto su cibo e carburante, i golpisti, oltre alla guerra e con più di 2,5 milioni di profughi, possono vantare anche un’inflazione al 30%.
Nei mercati, i pomodori, le patate o lo spinacio d’acqua ammiccano dai banconi a un pubblico che conta gli spiccioli. Fuori dai grandi centri sotto controllo – bolle in una situazione che vede la Resistenza all’attacco in quasi tutti gli Stati dell’Unione – i check point sono diventati più attivi e i blocchi stradali più numerosi. La polizia controlla i documenti con una certa attenzione mentre i militari guardano distrattamente le carte di identità e riscuotono la mazzetta dall’autista. Ci dev’essere un ordine di scuderia per i rarissimi stranieri. Grandi sorrisi ai quattro gatti che portano valuta pregiata: cash, perché nel Myanmar dei generali le banche non lavorano e le carte di credito non funzionano.
Gli effetti della guerra si vedono insomma dovunque, anche nelle aree – forse un quinto del territorio – dove Tatmadaw ha un controllo ancora diffuso. Controllo che si va assottigliando e che ormai ha reso a rischio anche alcune direttrici di grande traffico come la strada che va da Mandalay (al confine cinese) passando per lo Stato Shan, sotto attacco da fine ottobre. A dicembre, la Resistenza ha colpito persino Mandalay con tre droni che hanno centrato il Comando generale (nel Palazzo reale) e due posti di polizia. Poco più che un’azione dimostrativa ma che dice: “Siamo vicini”. Così vicini che in gennaio la Resistenza ha conquistato un villaggio a soli 30 chilometri da Pyin Oo Lwin, un’ex stazione coloniale britannica oggi sede dell’accademia militare dove vengono addestrati gli alti gradi dell’esercito. E Pyin Oo Lwin è a soli sessanta chilometri da Mandalay.
L’offensiva detta Operazione 1027, iniziata con la fine delle piogge, ha radicalmente cambiato il quadro militare e spinto la Cina a tentare una mediazione tra una parte della Resistenza e la Giunta. Una pausa più che un cessate il fuoco e che può dirsi sostanzialmente fallita. Se ha ragione Ko Ko, un signore attempato che vede il bicchiere mezzo pieno, il futuro promette bene: “Cadranno tra quattro mesi”, dice convinto sorseggiando il suo tè. Gli analisti però mettono in guardia su un eccesso di galvanizzazione ma uno di loro, incontrato in Thailandia, è convinto della svolta anche se non si sbilancia.
Il terzo anniversario intanto si riempie anche di condanne: il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, chiede un percorso verso una transizione democratica con il ritorno al governo civile mentre l’Unione Europea minaccia ulteriori misure restrittive. Volker Türk, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, è più diretto: “In mezzo a tutte le crisi che affliggono il mondo, è importante che nessuno venga dimenticato. Il popolo del Myanmar soffre da troppo tempo e la sua situazione è ulteriormente peggiorata a causa delle tattiche di lunga data dei militari per prenderli di mira”. Non si tratta certo di una mira simbolica.
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