Il ritorno degli imperi uccide i diritti

Mentre le democrazie degli Stati-Nazione si sfaldano Turchia, Russia e Cina puntano su un nuovo-vecchio ordine. L'editoriale del direttore Raffaele Crocco

di Raffaele Crocco*

La verità è che stiamo tornando indietro. E’ che chi era in cima al Mondo ci sta tornando, l’ordine planetario sembra restaurarsi, superando le bufere del ‘900, con i nazionalismi spiccioli, le richieste popolari, le democrazie fragili e un po’ fanciullesche. Davvero pensiamo sia un caso che negli anni del disastro degli Stati – Nazione, quelli che stanno seppellendo con la loro morte gli ideali democratici e i diritti civili, si rifacciano strada i vecchi imperi?

Guardate bene cosa sta accadendo. Guardate nel Mediterraneo. La Turchia di Erdogan – che si richiama all’Islam e alla tradizione – torna ad agire militarmente in Libia, da cui era stata cacciata quando ancora era Impero proprio dall’Italia, nel 1912. Contemporaneamente, agisce con le proprie Forze Armate e con mercenari in Siria, che era territorio dell’Impero turco. Non è finita, perché dove non arrivano i soldati, arrivano la cooperazione e l’economia. Così, Ankara addestra gli eserciti di Albania Kosovo e Bosnia. Poi, finanzia scuole nei Balcani islamici e guarda all’Asia centrale, a quei Paesi ex sovietici di lingua turca che vedono in Istanbul un punto di riferimento. Basta andarci per vedere la bandiera con la Mezzaluna sventolare sulla soglia di istituzioni, musei, scuole.

L’abbraccio di Erdogan è l’abbraccio dell’antico impero, pronto a rinascere dopo un secolo di Repubblica laica garantita dall’esercito. Erdogan ha scelto di tornare all’antico, rimettendo l’Islam – con le sue leggi – al centro della vita sociale e politica, facendone forza di richiamo e identità, trasformandolo in forma di governo esattamente come era ai tempi del Califfato. Un progetto nato a metà degli anni ’90, quando l’Europa ricacciò la Turchia nel limbo del “mondo altro”, rifiutandone l’ingresso nell’Unione. Ankara scelse allora di guardare altrove e di ricostruire la propria identità. Sta tornando l’impero e sta tornando a dominare il Mediterraneo, cercando di conquistarne il centro, cioè la Libia, la regione che da sempre consente in controllo di rotte e traffici. Lo fa con il consenso dell’altro impero rinato, la Russia di Putin, che sta ristrutturando la propria dimensione imperiale facendo leva sull’orgoglio nazionalista – mai morto – dei russi e sull’immagine che hanno del loro essere ponte fra Europa e Asia.

Mentre questo accade, mentre i due imperi riprendono forma seppellendo ogni apparenza residua e blanda di democrazia interna, un altro impero torna ad occupare la posizione che la storia gli ha assegnato per secoli, quello di vera potenza mondiale: la Cina. Le nuove “Via della Seta” e la “Collana di perle” di Pechino sono le armi di una penetrazione economica e culturale che riafferma il ruolo di superpotenza dell’Impero Ex Celeste, ora Rosso. La base militare a Gibuti – a guardia dello stretto ingresso nel mar Rosso – e l’attivismo in Africa e America Latina sono la conferma di una forza economica che sta superando quella degli Stati Uniti, costretti ormai a rincorrere confusamente tutto e tutti.

La Cina oggi controlla il 12% del commercio mondiale. Nel 1850 – ai tempi della guerra dell’Oppio contro l’impero Britannico – controllava il 33% di ciò che nel Mondo si vendeva. Per secoli, cultura filosofia, tecnologia, scienze, economia avevano cuore e baricentro a Pechino. Tutto sta tornando lì, in questo altro impero che risorge. E se ci pensiamo, questo accade mentre la Gran Bretagna – casa del più esteso impero di mare della storia – dopo un secolo di crisi torna a isolarsi e a sentirsi forte, uscendo dall’Unione Europea per ribadire il proprio ruolo e, chissà, sperando di ridare forza imperiale – in qualche modo, con la finanza al posto delle navi – alle proprie ambizioni.

Si torna indietro. Le democrazie degli Stati-Nazione, conquistate con la resistenza al nazi-fascismo e ai totalitarismi e pagate con l’orrore della guerra, si stanno sfaldando. Il paradosso è che vengono abbattute da quelle forze che si autodefiniscono “sovraniste” e che sono invece – consapevolmente o meno – il braccio armato dei nuovi imperi. Erdogan, Putin, Xi Jinping, sono gli alfieri di un nuovo ordine che puzza di antico, di vecchie disuguaglianze, di diritti scomparsi, di privilegi riscoperti. La democrazia è l’unico strumento che abbiamo per fermarli.

*Direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo

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