di Silvia Orri
Ci sono un kirghiso, tre russi ed un’italiana. Alle 5 del mattino di sabato 24 settembre 2022 c’è fermento nel patio dell’ostello di Oš. Si parla sottovoce ma con ritmo incalzante tra risate di consolazione e sguardi seri. Posso solo intuire le gestualità di chi è con me a condividere il primo tè tra le piante di melograno ed il richiamo dei muezzin che riecheggia dagli altoparlanti dei minareti. Si parla russo, qui in Kyrgyzstan è di uso comune. Durante la notte ci sono stati degli arrivi, quando mi ero addormentata eravamo in 2 ospiti nel dormitorio condiviso ed al risveglio eravamo in 6.
Sto per tornare a Bishkek, capitale del paese, e da quello che ho capito condividerò il passaggio con un altro ragazzo, oltre ovviamente al guidatore che si destreggerà tra pascoli e passi di montagna che arrivano oltre i 3000mt. Come scopriremo poi, a quanto pare le buone condizioni delle strade sono dovute agli investimenti cinesi e turchi per implementare il progetto della nuova via della seta. Al momento della partenza però, alle 5:30, la macchina è al completo. In poche ore si sono aggiunte 3 persone, mi rendo conto che c’è del trambusto ed una particolare urgenza di partire, muoversi, spostarsi ed andare verso la prossima tappa.
Partiamo e l’inglese fa da collante.
– “Sei qui in vacanza?”
– “Sì sto viaggiando..voi?”
– “Eh..non proprio.”
– “Scappati dalla Russia?” (vado ad intuizione, sentite le ultime notizie)
– “Già, come tutti quelli che hanno potuto dopo l’annuncio della mobilitazione fatto da Putin.”
Ed è così che mi trovo a condividere 12 ore di viaggio con 3 ragazzi che non vogliono ritrovarsi all’interno di un carro armato da un giorno all’altro ed un autista di forte spirito rivoluzionario kirghiso. Io, spensierata viaggiatrice in cerca di una meta, in questo piccolo mondo, ancora preservata dalle masse di turisti. Non tutto si riesce a tradurre, alcune conversazioni vanno avanti per ore e faccio fatica ad inserirmi, alcuni concetti sono difficili da esprimere ma l’argomento di base è chiaro: la maggioranza non vuole questa guerra, la situazione non sta migliorando e per molti cittadini russi sarà inevitabile l’obbedienza nei confronti del richiamo alle armi. Si parla di un milione di persone (la cifra dei 300.000 non viene menzionata).
Ivan già ad aprile aveva raggiunto Bishkek da San Pietroburgo e ad agosto, intuendo un miglioramento delle condizioni, era tornato a casa dalla moglie. Intuizione sbagliata. Ha dovuto ricredersi e rifare lo stesso biglietto verso questo piccolo paese ex sovietico, prossima tappa Almaty. Nicolaj viene dalla Jacuzia, Siberia orientale; in un giorno solo ha visto per la prima volta Mosca, le montagne e parlato con una persona italiana (e siamo solo ad inizio giornata!), prossima tappa Almaty. Alexander invece abita a Mosca e per due giorni e due notti consecutive ha provato insieme alla moglie a comperare su internet il biglietto aereo per Oš, unica meta disponibile, senza dormire e mangiare dall’agitazione, il pagamento non andava mai a buon fine. Raggiunta l’impresa ha raccolto il minimo indispensabile, è partito, all’aeroporto di arrivo ha chiesto ad un tassista di portarlo in un ostello dove avessero un letto disponibile, ha dormito qualche ora, ha approfittato del passaggio ed ora è tra noi, prossima tappa Istanbul.
“La mobilitazione ha spaventato tutti, stiamo cercando di scappare il più velocemente possibile, sull’aereo ci hanno fatto un sacco di domande ed avevamo paura che non ci facessero partire.” Hanno intrapreso il viaggio separatamente ma parlano sempre al plurale perché le situazioni vissute e le preoccupazioni sono comuni.
In un paio di giorni, nell’ostello in cui alloggiavo, sono arrivate 8 persone spinte dallo stesso intento e dalla stessa paura, ora hanno creato un gruppo su Telegram in cui si supportano e scambiano consigli e suggerimenti. A molti giovani russi la lettera di richiamo è già arrivata. Le zone prescelte per il reclutamento sono specialmente quelle isolate, piccoli villaggi, verso persone affette da precarietà economica. Si cercherà di incidere sulle grandi città il meno possibile. Questo affievolisce il dissenso e coinvolge maggiormente cittadini meno attrezzati per ricevere informazioni chiare da fonti sicure, persone investite dalla propaganda che accettano la chiamata con più senso dell’obbligo e del dovere.
Il viaggio è lungo, ci sono anche tanti momenti per sorridere, sdrammatizzare e renderlo immensamente arricchente. Mi fanno notare la differenza tra i loro accenti imitandosi, Nicolaj spiega che non c’è una parola per dire “pane” nella lingua originale della sua zona in quanto fa troppo freddo per coltivare la materia prima per produrlo, le mosche che troviamo nei piatti della piccola e rurale tavola calda in cui sostiamo diventano le nostre fonti di proteine, le latrine lungo la strada sono degli ingegnosi sistemi di fognatura alla maniera dei romani, scherziamo anche sulla nostalgia post sovietica kirghisa che nomina le montagne “Cima Lenin”, “Cima Comunismo”, “Cima Pobeda”.
Dopo un paio di ore di fitta conversazione tra Ivan e Bishet (mi scuso per la onomatopeica trascrizione in lettere latine del nome dell’autista) chiedo delucidazioni sui temi di cui hanno parlato ed Ivan sbuffa: “Uff..troppi discorsi sulle differenze religiose, gli scontri etnici, sulla rivoluzione ed il comunismo!”. Ogni tanto bisogna alleggerire il carico argomentativo!
Non possiamo fare a meno di notare la stridente maniera con cui il cambiamento climatico si mostra: livelli dei bacini d’acqua che producono energia idroelettrica estremamente bassi, stagionalità della pastorizia d’alta quota allungata, accelerato scioglimento dei ghiacciai. Inoltre il Kirghizistan possiede giacimenti di oro, carbone, ed uranio tra gli altri e le attività estrattive impattano fortemente sulla vita dei cittadini delle zone interessate che però non si stancano di rivendicare il loro dissenso come ci spiega Bishet che chiede: perché non vi ribellate anche in Russia? Qui la gente è attiva, ha un senso comune del benessere del territorio e reclama in maniera collettiva i propri diritti. I ragazzi spiegano che la Russia è troppo estesa per riuscire a creare un’opinione pubblica così organizzata, le classi sociali differenziano bisogni e necessità e tra una generazione e l’altra non c’è una visione simile dell’attualità. Ad ogni modo, si dicono anche dispiaciuti e risentiti che la memoria corta di politici e decisori abbia dimenticato così in fretta le proteste del 2018 e come fossero invece anticipatrici e rivelatrici di politiche sempre più autoritarie e della necessaria ricerca di una soluzione alle innumerevoli incarcerazioni e violente repressioni.
Arrivati, ci guardiamo e diciamo che le ore insieme sono passate in un lampo. Io sto tornando a casa, a casa, a casa mia. La parola casa è così confortante ed allo stesso tempo mette in risalto i diversi destini delle persone. Loro stanno andando verso la prossima stazione degli autobus, verso il prossimo ostello o verso un baracchino che cambi i loro rubli. Le priorità. Queste persone in poche ore hanno cambiato i pesi sulla bilancia della mie priorità. Tornerò a casa certo, ognuno ha la propria meta, ma non sento il bisogno impellente di raccontare delle magiche notti nelle yurte, della maestosità delle madrase di Bukhara o dei colorati bazar kirghisi; non solo per lo meno, racconterò prima di tutto le loro storie perché sono pezzi di un enorme puzzle sotto gli occhi di tutti che però ognuno guarda con angolazioni, esperienze pregresse, sospetti ed aspettative diverse. Ne derivano, come ci si può immaginare, una mescolanza di conclusioni e supposizioni immensamente vasta e confusionaria. Io vorrei solo raccontare le mie 12 ore senza pretese di una particolare lettura della realtà. Sono spicchi di vissuti, di gambe e sguardi che in questo momento stanno continuando il loro cammino.