di Claudia Gambarotta
La credibilità dell’Unione Europea nel tener fede ai propri principi di difesa dei diritti umani e agli impegni assunti nelle relative convenzioni internazionali, se non addirittura la sua complicità nella loro violazione. E’ quanto ritengono sia in gioco, nelle scelte sulle posizioni da prendere verso Israele sulla questione palestinese, Hagai-El Ad, direttore esecutivo del Centro Israeliano di Informazione per i Diritti Umani nel Territori Palestinesi Occupati B’T selem, e Shawan Jabarin, direttore generale dell’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq.
L’esplicito appello dei difensori dei diritti umani è stato rivolto venerdì marzo, ai deputati partecipanti a un incontro nel centro della Delegazione per le relazioni con la Palestina del Parlamento Europeo, presieduta da Manu Pineda. Due gli sviluppi segnalati da Al-Haq e B’T selem che hanno sollecitato un’azione di sensibilizzazione dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri. Si tratta da un lato dell’annuncio, lo scorso 3 marzo, che l’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale aprirà una inchiesta sulla situazione in Palestina, rispetto alla quale Shawan Jabarin ha reiterato gli auspici e le preoccupazioni già espresse e cioè che la Corte svolga una investigazione approfondita e chiami a rispondere i responsabili di crimini internazionali commessi nei confronti dei palestinesi, senza ritardi ingiustificati; nei riguardi della UE l’invito è quello di “non rendersi complice di tattiche denigratorie della corte o addirittura di quegli stessi crimini”.
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Dall’altro lato, Hagai-El Ad ha illustrato le ragioni della recente presa di posizione che assimila le disposizioni instaurate da Israele nei confronti di 14 milioni di palestinesi a un regime di apartheid: “l’Unione Europea non può contribuire all’instaurarsi di un sentire pubblico di “normalità” rispetto alle effettive condizioni di detenzione in cui le persone si trovano costrette a vivere. Senza giri di parole il mantenimento di queste condizioni la vedrebbe corresponsabile”.
“Se le vostre rivendicazioni trovano pieno ascolto e sostegno tra alcune formazioni politiche” – ha tenuto a fare presente con la stessa franchezza Manu Pineda – “le aspettative riguardo a iniziative dell’Unione Europea devono essere temperate dalla comprensione del processo decisionale dell’Unione, che prevede l’unanimità per l’approvazione di sanzioni, un consenso difficile da raggiungere nel caso di Israele, analogamente a quanto succede nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, pur se in Biden si può trovare una nuova disponibilità”.
“Nessuno vuole negare che non vi sia un cambio di atteggiamento rispetto alla presidenza Trump, che voleva ritornare a un passato critico, o che l’antisemitismo sia una questione reale, seppure non dovrebbe essere brandito impropriamente”, ha replicato Jabarin, “ ma anche preso atto della complessità operativa dell’Unione, al di là delle sanzioni il primo partner commerciale di Israele ha di certo altri mezzi di pressione, a cominciare dall’autorità sulle aziende degli Stati Membri che operano nei Territori. Come disinteressarvi quando siamo i vostri vicini!”.
“Anche le azioni di sensibilizzazione delle vostre rispettive opinioni pubbliche rivestono grande importanza, proprio per scongiurare quella pericolosa “normalizzazione” cui facevo cenno e la involontaria complicità. Abbiamo provveduto per questo a tradurre il nostro documento di posizione – che articola i numerosi aspetti della segregazione e ricrea un quadro attendibile delle inumane condizioni della quotidianità – in diverse lingue dell’Unione Europea, pregandovi di mantenere alto il vostro interessamento” ha concluso El Ad.
In copertina la sala di una Commissione parlamentare
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