“Sorelle e fratelli, parto per il Messico. Mi ferisce lasciare il Paese per ragioni politiche, ma sarò sempre vigile. Presto tornerò con più forza ed energia”. Con questo messaggio su Twitter, Evo Morales, l’ex presidente della Bolivia ha annunciato la sua partenza con un aereo dell’aviazione militare di quel Paese, per Città del Messico, che gli ha offerto asilo politico.
Nel frattempo, il generale William Kaliman “per evitare sangue e lutti” ha ordinato all’esercito di presidiare le strade, con l’indicazione di arrestare le sommosse, che da giorni stanno devastando i centri del Paese andino. Se fino ad ora gli atti di violenza vedevano come protagonisti i “comitati civici” a sostegno dell’opposizione, che stanno prendendo di mira le sedi del Mas, il partito di Morales, e i suoi sostenitori, nell’inerzia o complicità di esercito e polizia, ora i sostenitori del governo uscente hanno scelto la via delle armi.
“Il leone si è svegliato” è lo slogan con cui la base di Morales ha lanciato l’offensiva contro quello che ritengono un golpe. “Adesso sì, guerra civile” è la parola d’ordine che circola, la base del Mas ha preso le armi, e attacchi alle caserme vengono segnalati in diverse zone della Bolivia.
Le disposizioni di Kaliman ai militari impongono di reagire “in modo proporzionale”, alle violenze, e questa sembra essere proprio l’anticamera di un conflitto interno generalizzato.
Per un Paese che, malgrado tutti i deficit di democrazia di cui Morales si è reso responsabile, aveva registrato dieci anni di crescita intorno al 5 percento. e un miglioramento del livello di vita ben distribuito sulla popolazione, questo esito è comunque disastroso.
Anche per le ferite al tessuto sociale e alla convivenza pacifica, che dopo questa esplosione di violenza sarà difficile sanare.
di Maurizio Sacchi