di Ilario Pedrini
«Il ricercatore è stato ucciso dai servizi egiziani. Renzi sapeva». Lo ha scritto in agosto il New York Times. Dopo poco tempo è arriva la smentita di Palazzo Chigi. E i presidenti delle Commissioni Esteri di Camera e Senato hanno parlato di «bufala». La Lega Nord di Matteo Salvini ha attaccato: «Se fosse vero mi aspetto le dimissioni di qualcuno».
Il New York Times ha pubblicato un lungo articolo in cui parla dell’uccisione di Giulio Regeni: un’inchiesta dettagliata, firmata da Declan Walsh, che parla del contesto in cui il giovane ha perso la vita. Fu rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir. Il suo corpo fu ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
Dopo la pubblicazione, anche il lingua italiana, fonti dell’esecutivo Gentiloni hanno commentato: «Nessuna prova esplosiva».
Carlo Panella, su Lettera43, scrive che «il quotidiano americano spara un retroscena non verificato su Regeni». Insomma – dice Panella – non è vero che «Barack Obama fornì a Matteo Renzi le “prove e i nomi” dei responsabili dei Servizi Segreti egiziani che rapirono e torturarono Giulio Regeni».
«Non c’è nessuna ragione al mondo – leggiamo – che potesse spingere Renzi a occultare queste “prove e nomi”, rischiando di essere poi incriminato dalla stessa magistratura romana per occultamento doloso di prove (…) Qualcuno dentro il Dipartimento di Stato Usa ha deciso di avvelenare i rapporti tra Roma e Il Cairo temendo le conseguenze della recente ripresa dei rapporti diplomatici interrotti proprio a causa del caso Regeni. Perché? È semplice, perché si vuole interrompere o avvelenare, a vantaggio delle major energetiche Usa, la solida rete di relazioni petrolifere che l’Eni ha intessuto con l’Egitto (la scoperta con collaborazione italiana determinante di enormi giacimenti metaniferi al largo dell’Egitto) e con la Libia che vede il burattino di al Sisi, il generale Haftar, controllare oggi i pozzi petroliferi della Cirenaica».
Ma cosa ha scritto il New York Times, al netto dell’accusa, contestata da Roma, sul caso della morte di un giovane ricercatore italiano? Molte cose. Ecco qui sotto alcuni stralci che aiutano a capire perché quell’articolo ha causato un terremoto istituzionale senza confini.
Sapevano. «Nelle settimane successive alla morte di Regeni, gli Stati Uniti ricevettero dall’Egitto informazioni di intelligence esplosive: la prova che funzionari di sicurezza egiziani avevano rapito, torturato e ucciso Regeni. “Avevamo prove incontrovertibili della responsabilità ufficiale egiziana,” mi disse un funzionario dell’amministrazione Obama — uno dei tre ex funzionari che hanno confermato le prove. “Non c’era dubbio.” Su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca, gli Stati Uniti passarono questa loro conclusione al governo Renzi. Ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero i dati originali, né rivelarono quale agenzia di sicurezza pensavano fosse responsabile della morte di Regeni. “Non era chiaro chi aveva dato l’ordine di rapirlo e, presumibilmente, ucciderlo,” mi disse un’altro ex funzionario. Quello che gli americani sapevano per certo, e lo dissero agli italiani, fu che la leadership egiziana era completamente a conoscenza delle circostanze della morte di Regeni. “Non avevamo alcun dubbio che questo fosse noto ai livelli più alti,” disse l’altro funzionario. “Non so se avevano responsabilità. Ma sapevano. Sapevano”».
I rapporti dell’Egitto con Europa e Usa. «(…) nonostante gli egiziani abbiano ammesso di aver sorvegliato Regeni, hanno sempre insistito di non averlo né rapito né ucciso».
«Nei 18 mesi dalla morte di Regeni, al-Sisi ha cenato con la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, davanti alle piramidi, e in Aprile è stato accolto entusiasticamente alla Casa Bianca dal Presidente Trump. Il 14 Agosto, il governo italiano ha annunciato l’intenzione di rimandare il proprio ambasciatore al Cairo. Il giacimento di gas naturale, Zohr, può cominciare la produzione a dicembre».
«L’Italia è il maggior partner commerciale europeo dell’Egitto — quasi sei miliardi di dollari nel 2015 — e Roma è fiera dei legami con il Cairo. Nel 2014, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi fu il primo leader occidentale ad accogliere al-Sisi nella propria capitale, e l’Italia ha continuatoa vendere all’Egitto armi e sistemi di sorveglianza nonostante l’aumento delle prove di abusi dei diritti umani».
I dubbi dell’ambasciatore italiano. Subito dopo la scomparsa di Giulio Regeni, circolava la voce che il giovane «fosse stato sequestrato da radicali islamisti — una possibilità terrificante perché sei mesi prima un ingegnere croato rapito alla periferia del Cairo era stato decapitato da militanti dello Stato Islamico. L’ansia dell’ambasciatore era amplificata dalla risposta degli ufficiali egiziani. La sezione di intelligence dell’ambasciata italiana non aveva piste, così Massari chiese di vedere il ministro degli Esteri, il ministro della Produzione Militare e il consigliere egiziano per la Sicurezza Nazionale, Fayza Abul Naga. Tutti affermarono di non sapere nulla. L’incontro più inquietante fu quello con il ministero dell’Interno, Magdi Abdel-Ghaffar, che impiegò sei giorni per concordare un incontro — per poi rimanere impassibile mentre il diplomatico italiano implorava il suo aiuto. Massari se ne andò perplesso: Abdel-Ghaffar, veterano di quarant’anni anni nei servizi di sicurezza, aveva un esercito di informatori. Come poteva essere all’oscuro?»
L’ambasciatore allontanato dal Cairo. «Gli Italiani avevano pochi dubbi che l’intero episodio fosse stato un rozzo tentativo di insabbiamento, eseguito in modo così inetto che gli egiziani si erano incriminati da soli. Eppure funzionò. Gli investigatori italiani lasciarono il Cairo, e l’indagine si bloccò. Maurizio Massari fu sostituito da un nuovo ambasciatore a cui venne ordinato di restare a Roma. In Egitto, “Regeni”, diventò una parola che poteva essere solo mormorata».
Le parole del senatore. «Lei parla latino?” mi chiese Luigi Manconi, un senatore italiano che sostiene la causa della famiglia Regeni, quando sono andato a trovarlo a Roma a gennaio. “C’è una frase in latino — arcana imperii. Significa i segreti del potere. Ciò è quanto stiamo vedendo in Egitto: il lato oscuro di quelle istituzioni; i segreti al loro cuore”. Il senatore si riferiva alle agenzie di sicurezza egiziane, ma quello che non diceva era che l’indagine Regeni stava portando alla luce dolorose incrinature all’interno dello Stato italiano».
«I servizi di intelligence italiani avevano bisogno dell’aiuto dell’Egitto per contrastare lo Stato Islamico, gestire il conflitto in Libia e monitorare il flusso di migranti attraverso il Mediterraneo».
Gli interessi economici italiani in Egitto. «La società energetica controllata dallo stato italiano, l’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, aveva i propri interessi. Settimane prima che Regeni arrivasse al Cairo, l’Eni aveva annunciato una grande scoperta: il giacimento di gas naturale Zohr, a 193 chilometri dalla costa egiziana settentrionale, che conteneva circa 850 miliardi metri cubi di gas — l’equivalente di 5.5 miliardi di barili di petrolio».
«L’Italia è uno dei paesi più vulnerabili in campo energetico, cosa che rende l’Eni più di un gigante da $58 miliardi, con operazioni in 73 paesi; lo rende anche una parte integrante della politica estera italiana. Nel 2014, Renzi lo riconobbe, definendo l’Eni “un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, e della nostra politica di intelligence.” In molti paesi, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi — l’altissimo petroliere milanese che ha recentemente guidato gli sforzi di esplorazione in Africa — conosce i leader locali meglio dei ministri italiani».
Le condizioni del corpo di Giulio Regeni. «La bocca di Regeni era spalancata e i suoi capelli erano impastati di sangue. Mancava uno dei denti anteriori e molti altri erano scheggiati o rotti, come se fossero stati colpiti con un oggetto contundente. La sua pelle era butterata da bruciature di sigaretta, e c’erano ferite profonde sulla schiena. Il lobo dell’orecchio destro era mozzato e le ossa di polsi, spalle e piedi erano frantumate. Un’ondata di nausea colpì Massari. Regeni sembrava essere stato torturato a lungo. Giorni dopo, l’autopsia italiana avrebbe confermato l’entità delle sue lesioni: Regeni era stato picchiato, bruciato, pugnalato, e probabilmente frustato sulle piante dei piedi per un periodo di quattro giorni. Era morto quando gli avevano spezzato il collo».
Per la versione integrale dell’articolo clicca QUI.
http://www.lettera43.it/it/articoli/economia/2017/08/18/la-bufala-del-new-york-times-che-piace-alla-sinistra-modaiola/213047/
http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/08/16/news/rivelazioni-nyt-su-regeni-scoppia-la-polemica-le-opposizioni-governo-riferisca-in-parlamento-1.308106
https://www.nytimes.com/2017/08/23/magazine/perche-un-ricercatore-universitario-italiano-e-stato-torturato-e-ucciso-in-egitto.html?_r=0
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/16/giulio-regeni-nyt-da-governo-usa-quello-di-renzi-prove-sul-ruolo-dei-servizi-egiziani-p-chigi-nessun-elemento-di-fatto/3796055/
la foto di Manconi è stata tratta da http://m.dagospia.com/mughini-i-senatori-pd-che-hanno-votato-contro-la-decadenza-di-minzolini-sono-ammirevoli-143811