di Ambra Visentin
La guerra in Ucraina potrebbe portare alla fine delle divisioni religiose interne. Da Roma, dalla Santa Sede, si seguono con attenzione gli sviluppi del conflitto. Gli uffici diplomatici vaticani però si muovono a fatica, anche perché sulla “questione morale” la linea cattolica non è poi così diversa da quella della Chiesa ortodossa. Questa, in estrema sintesi, l’analisi di Regina Elsner, teologa e ricercatrice del Center for East European and International Studies di Berlino.
Il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill si è apertamente dichiarato a favore dell’invasione dell’Ucraina, riconoscendola come una “guerra santa” in difesa dei propri fedeli e contro la degenerazione dei valori fondamentali, stravolti dalla cultura europea . Quanto è condivisa la sua opinione all’interno della Chiesa ortodossa?
Ci sono già delle lettere aperte di contestazione, tra cui un appello per la pace sottoscritto da circa 300 sacerdoti della Chiesa ortodossa russa. Ma, considerando che ci sono in tutto circa 36.000 sacerdoti, non è molto. È altresì vero che la situazione è pericolosa, basti pensare che si rischiano fino a 15 anni di carcere per certi tipi di esternazioni. I sacerdoti si muovono in un campo minato, cercando di non compromettere la propria sicurezza e al contempo di condannare questo massacro che contraddice i valori cristiani, indipendentemente dall’appartenenza religiosa delle persone colpite. Anche online molti sacerdoti russi stanno esprimendo il proprio dissenso, come ad esempio Aleksej Uminsky, da sempre fedele ai valori della Chiesa ortodossa ma critico nei confronti del Patriarca e della politicizzazione della Chiesa. Esiste poi una piattaforma laica (Pravoslavie i mir), per lungo tempo molto fedele alla dirigenza della Chiesa, nella quale nel tempo si sono levate sempre più voci contrarie al percorso intrapreso.
In un Suo articolo, pubblicato il 23 febbraio scorso, Lei parla di diversi accordi stipulati tra la Chiesa russa ortodossa e il Ministero della Difesa della Federazione Russa. Di che accordi si tratta?
La collaborazione consiste in un impegno congiunto volto a rafforzare, cito, “i fondamenti patriottici e morali dell’esercito”. L’esercito crea le strutture e concede spazio di manovra alla Chiesa, mentre quest’ultima si impegna a radicare nei soldati i principi morali di degni combattenti per la Russia ortodossa. Questo avviene attraverso una vera e propria formazione patriottica con corsi e seminari, indipendentemente dall’appartenenza religiosa dei singoli militari.
Come si configura il panorama religioso ucraino?
Un terzo degli appartenenti alla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca risiede in Ucraina. Negli ultimi 30 anni il panorama religioso è sempre stato caratterizzato da una scissione. Nel 1990 alla Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca fu concessa ampia autonomia. Nel 1992 però una parte dei fedeli ucraini ha spinto per fondare una Chiesa ortodossa indipendente da Mosca. Il Patriarca di Mosca tuttavia non concesse ai fedeli ucraini di riunirsi in un’unica identità religiosa nazionale. Questa frattura è stata sempre sfruttata politicamente dai Presidenti ucraini, i quali esprimevano la propria vicinanza alla Russia o all’Unione Europea, appoggiando internamente l’una o l’altra Chiesa. Questo fenomeno ha causato frizioni importanti tra i fedeli lasciando segni quasi indelebili. La Chiesa ortodossa ucraina indipendente è stata poi riconosciuta dal Patriarcato ecumenico nel 2018. La divisione interna è emersa con forza prima dello scoppio della guerra proprio perché politicamente strumentalizzata. Mosca infatti ha dichiarato che sarebbe intervenuta nella regione per difendere i propri fedeli “oppressi dal governo ucraino”.
Il Presidente Zelensky che posizione ha assunto rispetto a questa questione?
Zelensky fin dall’inizio del suo mandato si è estraniato dalla questione religiosa e trovo che sia stata una delle sue decisioni più accorte. Da quando è salito al potere non c’è più quel livello di strumentalizzazione della questione religiosa».
E ora quali sono le dinamiche religiose in atto nella regione?
Attualmente, attraverso la guerra, la divisione interna si sta alleviando, nel senso che sempre più fedeli passano alla Chiesa ortodossa ucraina indipendente. Con l’invasione del 2014 il pluralismo religioso nei territori occupati del Donbass (in prevalenza russo-ortodossi) ha cessato di esistere, portando invece a persecuzioni religiose nei confronti delle minoranze. Allo stesso tempo c’è stato anche un allontanamento dei fedeli, spinti verso la Chiesa indipendente ucraina proprio dall’invasione russa. Nel resto del Paese invece non si è mai arrivati a persecuzioni, benché ci siano stati sporadici atti di vandalismo ai danni delle chiese contrarie al passaggio alla Chiesa ortodossa ucraina indipendente. Così come sono stati presentati dei disegni di legge per imporre un cambio di nome alla Chiesa Ortodossa Ucraina, che sarebbe dovuta diventare la “Chiesa ortodossa russa in Ucraina”: una grave violazione della libertà religiosa. Il progetto non è stato approvato. Era considerato come un’espressione del desiderio di Poroshenko di spingere gli agenti russi fuori dal Paese. Questo progetto di legge rientra tra le argomentazioni portate da Putin e dal Patriarca di Mosca a sostegno della propria tesi.
I confini della madrepatria e del Russkij Mir (mondo russo) si sovrappongono?
Kirill stesso non definisce la propria posizione in merito e lo fa con cognizione di causa. La madrepatria è un termine che fa riferimento ai confini nazionali ovvero in questo caso la Federazione russa. Russkij Mir invece è un concetto transnazionale la cui dimensione ideologica non si può confinare in questi territori-chiave bensì a ben guardare raggiunge il nord America, il Giappone e perfino l’Africa. Quello che abbiamo osservato dall’annessione della Crimea è che Kirill impiega di rado e con cautela questo termine, in quanto ha sempre sostenuto che la Chiesa rispetta i confini nazionali e si occupa esclusivamente di unità spirituale. Un punto che ora Putin ha fatto saltare senza che Kirill potesse obiettare alcunché. In questo modo il concetto ha assunto una dimensione più nazionale e va ora ad includere l’Ucraina, la Bielorussia e la Russia».
Che ruolo può svolgere nella mediazione il Vaticano e, se può mediare, lo può fare nel segno dell’ecumenismo insieme alla Chiesa ortodossa russa?
Di base il Vaticano possiede sempre un grosso potenziale in termini di mediazione. Nessuna figura politica importante desidera inimicarsi il Papa. Abbiamo visto che sia Lukashenko sia Putin hanno sempre mostrato una certa reverenza. Certo il Vaticano si è espresso e si esprimerà sempre per la pace e per il cessate il fuoco. Tuttavia il problema è che al momento Putin e Kirill argomentano utilizzando un’ideologia, rispetto alla quale il Vaticano è ambivalente. Si tratta di un illiberalismo, che non è estraneo alla Chiesa cattolica. Il problema è che l’ideologia di base si riconosce in una concezione conservatrice, di difesa contro i valori liberali che in realtà corrisponde a quella portata avanti per anni dalla Chiesa cattolica. Oltretutto Putin sta distruggendo molto delle relazioni che aveva costruito con gli Stati europei negli ultimi decenni. Ciò è sintomatico del livello di irrazionalità che ha raggiunto questa situazione: motivo ulteriore per il quale ritengo che Papa Francesco difficilmente possa riuscire ad instaurare un dialogo con Putin o il Patriarca Kirill.
In copertina il Patriarca Kirill