Dossier/ Popoli che resistono

Sono centinaia i popoli che esistono e resistono in tutto il Mondo. Le forme di resistenza sono le più svariate. Ci sono esperienze armate con veri e propri eserciti o milizie più o meno organizzate, così come forme di resistenza pacifica o di disobbedienza civile. Alcune sono note, vengono da lontano e riguardano in qualche modo il diritto all’autodeterminazione. Tra questi i palestinesi, i saharawi, i curdi (vedi i dossier dedicati), ma anche gli uiguri e i rohingya (vedi approfondimento 1).

Moltissimi sono poi i popoli indigeni, che in America, in Africa, in Asia ed Oceania, tentano invece di resistere alla discriminazione, alla ghettizzazione e, non ultimo, al modello di sviluppo che mette costantemente in pericolo la propria sopravvivenza. Molto spesso le lotte dei popoli indigeni si intersecano con le conseguenze della crisi climatica. In questo dossier alcuni esempi di resistenza poco noti, impegnati in maniera più o meno attiva, a contrastare sistemi economici e di potere. 

 

*In copertina Native tribal man swimming in amazonia rainforest in handmade boat. Photo Spirit for Shutterstock. Di seguito three elderly men of the Uyghur minority having a conversation at a street in Kashgar Old Town. Chinese flags are mounted on the house in the background. Chris Redan for Shutterstock

Gli uiguri dello Xinjiang e i Rohingya del Myanmar

Gli uiguri sono la minoranza turcofona e musulmana originaria dello Xinjiang, Regione del nordovest della Cina estremamente ricca di risorse naturali e strategica perché porta terrestre della Belt and Road Initiative, il grande progetto infrastrutturale e commerciale di connessione con l’Europa. Gli uiguri, a seguito di una massiccia immigrazione dalle altre regioni della Cina, è una minoranza nello Xinjiang. La popolazione lamenta di essere oggetto di discriminazione e violenza.

Nel settembre 2022 il Consiglio Onu dei diritti umani ha presentato un rapporto sulle atrocità in corso nello Xinjiang che ha confermato le numerose prove di gravi violazioni dei diritti umani contro gli uiguri e altre minoranze etniche di religione prevalentemente musulmana, denunciate da Amnesty International e da altre organizzazioni. Secondo varie organizzazioni le persone che vivono nello Xinjiang o che hanno parenti nella regione rischiano arresti, imprigionamenti, torture e sparizioni forzate e questi rischi di estendono anche ai loro familiari.

Tra gennaio e giugno del 2022, Amnesty International ha visitato l’Asia centrale e la Turchia, dove ha intervistato persone recentemente fuggite dallo Xinjiang e parenti di persone detenute arbitrariamente. Queste hanno descritto una vita di costante oppressione a causa delle politiche delle autorità cinesi che limitano gravemente le libertà delle minoranze prevalentemente musulmane, attraverso violazioni del diritto alla libertà e alla sicurezza personali, alla riservatezza, alla libertà di movimento, di espressione, di pensiero e di fede religiosa, alla libertà di prendere parte alla vita culturale, all’uguaglianza e alla non discriminazione e, infine, alla libertà dai lavori forzati.

Dal 2017, si stima che almeno un milione tra uiguri (principalmente), kazaki e uzbechi sono stati detenuti in modo arbitrario. Alcune stime fanno salire il conto a 1,5milioni. Per la dirigenza cinese, si tratta di programmi di reinserimento professionale.

Un altra popolazione di fede musulmana perseguitata è quella Rohingya, in Myanmar. Si può infatti considerare come una delle popolazioni più represse al mondo: non può spostarsi, è poverissima, è continuamente vessata e, di fatto, apolide. Coloro che vivono nello stato birmano del Rakhine sono ormai solo una piccolissima parte della comunità in larghissima maggioranza ormai parte della diaspora, dal Bangladesh all’Arabia saudita, dall’India all’Indonesia.

E la situazione dei profughi Rohingya si è fatta negli anni sempre più disperata. Nel marzo 2023 il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, della Yale Law School e dell’Asia Center dell’università di Harvard, ha lanciato un appello urgente agli Stati membri dell’Onu “Affinché annullino i tagli vergognosi e catastrofici alle razioni alimentari per i rifugiati Rohingya in Bangladesh”, che sono iniziati dal primo marzo. Secondo il World Food Program, per mettere fine a questi tagli catastrofici, sono immediatamente necessari 125milioni di dollari. 

Gli Adivasi d'India

Gli Adivasi (indigeni) provenienti da tutta l’India hanno dato vita, nel marzo 2023, ad una grande marcia di protesta per denunciare la creazione di aree protette nella Riserva della Tigre di Nagarhole. Le Aree Protette sono infatti aperte ai turisti stranieri, ma agli Adivasi viene negato l’ingresso e viene loro impedito di accedere alle loro foreste. “Nelle Riserve della Tigre di tutta l’India – scrive la ong Survival – i popoli indigeni sono stati sfrattati dalle loro terre ancestrali o sono minacciati di sfratto nel nome della conservazione. Subiscono anche persecuzioni, aggressioni violente e uccisioni”. A Nagarhole la resistenza è continuata con una protesta a lungo termine davanti agli uffici del Dipartimento alle Foreste della Riserva della Tigre alla quale hanno partecipato Adivasi provenienti da 46 villaggi diversi. “La foresta di Nagarhole appartiene ai nostri antenati. Gli animali e le foreste sono parte di noi, sono la nostra famiglia” è uno degli slogan cantati durante la marcia.

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