Estremo Oriente alle armi

a cura di Alice Pistolesi

L’Estremo Oriente si arma, in maniera diversificata, ma si arma. Le dinamiche di politica estera dell’area sono sempre in divenire e il ricorso all’investimento in armi sempre più moderne va, ovviamente, di pari passo.

Nel dossier si analizza per primo il Giappone, il Paese pacifista per antonomasia che da qualche tempo pare però voler voltare pagina e iniziare ad armarsi modificando la Costituzione post dopoguerra che faceva del no ai conflitti il suo fulcro.

Nella stessa direzione va poi la Corea del Sud, che ha negli anni sempre più intensificato il proprio investimento e con ogni probabilità proseguirà su questa linea nonostante la distensione che pare sia stata avviata nell’aprile 2018 con la storica nemica Corea del Nord.

Ad armarsi fino ai denti anche la Cina, al secondo posto nella classifica del Stockholm International Peace Research Institute (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma- Sipri)sui maggiori investitori in armi nel Mondo. La scelta della Cina va ricondotta a più situazioni: dalla recrudescenza del rapporto con gli Stati Uniti, al riarmo di Giappone e Corea del Sud, fino alla instabilità dell’alleato nord coreano e al contenzioso territoriale nel Mar Cinese con altri paesi.

La Corea del Nord viene usata a torto o a ragione per giustificare il riarmo sicuramente di Seul e di Tokyo. Difficile però è capire se il riarmo del paese guidato da  Kim Jong-un procede e a che passo.

Giappone ex pacifista

Da tempo il Giappone sta cercando il modo di aggirare la propria Costituzione (imposta dagli americani alla fine della II Guerra mondiale) che, all’articolo 9 dispone che il paese non usi la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali né mantenga un esercito con scopi offensivi.

L’articolo 9, inoltre, sancisce il divieto di possedere armi offensive a lungo raggio come missili balistici, vieta il possesso di aerei da rifornimento in volo, unità anfibie o forze speciali di intervento e sancisce rigidissime regole di ingaggio, rendendo il Giappone di fatto inoffensivo al di fuori dei propri confini. Nonostante la disposizione il Paese ha creato una forza di autodifesa molto simile ad un esercito. Inoltre il governo ha previsto per il 2018 un budget per la difesa di 45,6 di circa 48 miliardi di dollari.

A giustificare la virata militarista la minaccia nordcoreana. Secondo il giornale economico Nikkei, infatti, la grande maggioranza di questo investimento è finalizzato a “rafforzare la protezione dei territori del Sol Levante”.

Facendo leva sul vicino scomodo e pericoloso il premier Shinzo Abe (vedi chi fa cosa) punta ad una revisione strutturale della Costituzione e in particolare del suo articolo 9.

Nel settembre 2017, prima della decisione di sciogliere la Camera bassa, il ministro della Difesa giapponese, Onodera Itsunori, aveva chiesto un incremento degli investimenti nel settore militare per 5.236 miliardi di Yen (circa 50 miliardi di dollari), quasi il 25% in più rispetto all’anno precedente. Nella lista dei nuovi armamenti ci sono voci che riguardano l’acquisto di sei caccia-bombardieri F35A per quasi 760 milioni di dollari, l’aggiornamento dei sistemi antimissilistici come il Sm-3 di classe Aegis sulle sei unità navali della marina giapponese e il sistema terrestre Pac-3.

E anche il nucleare per il Giappone non è più un tabù. In un dossier dell’Atlante si riportava infatti che nella classifica della banche che investono in armi nucleari sono per la prima volta nel 2017 comparsi due istituti finanziari giapponesi: The bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj Ltd e la Sumitomo Mitsui banking corporation.

La svolta armata giapponese pare però non essere sostenuta da tutta la popolazione. Secondo vari sondaggi la maggioranza dei giapponesi è contraria alla revisione ‘militarista’ della Costituzione.

Cina sempre più armata

Il riarmo cinese procede a gran velocità. Nel 2017 il Paese ha aumentato le proprie spese militari del 5,6%, arrivando ad investire 228 miliardi di dollari in armi. Con questa cifra record la Cina si è attestata al secondo posto nella classifica dei Paesi che spendono di più in armi. 

A preoccupare la Repubblica Popolare è principalmente l’amministrazione Trump e la conseguente alleanza creata tra Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud. Un elemento non certo distensivo e da sempre disprezzato è il dispiegamento, avvenuto nel marzo 2017, del sistema antibalistico Thaad, posizionato al di sotto del 38esimo parallelo. Non potendo contare su alleati affidabili (la Corea del Nord non si è rivelata tale in più di una occasione) la Cina punta sul potenziamento dei propri armamenti.

Nelle isole parzialmente controllate di Paracel-Xisha (contese da Giappone, Vietnam e Taiwan) ha montato delle batterie di missili e negli atolli di Spratly-Nansha (presidiati anche da Vietnam, Taiwan, Malesia e Filippine), ricchi di fondali colmi di giacimenti petroliferi, ha costruito delle isole artificiali-portaerei con radar e piste di decollo.

Nel gennaio 2017 la Repubblica popolare ha poi presentato i nuovi missili Dongfeng41. Secondo un rapporto del Pentagono i missili sarebbero in grado di impattare il suolo americano a mezz’ora dal lancio, sorvolando il Polo Nord.  E ancora alla fine del 2016 la China Aerospace Science and Industry corp, tra i più grandi produttori di armi del Paese, aveva annunciato la progettazione del missile supersonico antinave CM-302.

Nell’arsenale va poi inserita la grande nave militare 001A. Con questa la Marina Cinese si compone quindi di due portaerei Liaoning e di 80 sommergibili e sarà in grado di imbarcare il doppio dei caccia, aerei da ricognizione ed elicotteri.

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