di Gianna Pontecorboli da New York
Poche parole veloci, schiacciate tra quelle dei molto più’ articolati e lunghi discorsi di due leader discussi come il brasiliano Bolsonaro e il turco Erdogan. Cosi’, con alle spalle lo sfondo della sala ovale e la bandiera americana, Donald Trump non ha lasciato dubbi, ieri mattina, sul fatto che il Palazzo di Vetro, nei prossimi giorni, sarà soprattutto il teatro di un duro scontro tra la sua America e la Cina di Xi Jinping. E anche, tra le righe, di voler considerare il grande raduno della diplomazia internazionale piu’ come un utile palcoscenico per riproporre al suo elettorato i temi della sua campagna elettorale che come un forum per discutere i problemi del mondo.
”Abbiamo lanciato una fiera battaglia contro un nemico invisibile, il virus cinese , che ha causato innumerevoli vittime in 188 paesi”, ha esordito già alle prime battute. Gli Stati Uniti, ha poi continuato, hanno lanciato la ”più aggressiva mobilitazione dalla Seconda Guerra Mondiale”, ridotto la mortalità’ dell’85 per cento da aprile e portato allo stadio finale la sperimentazione di tre vaccini. La Cina invece, ha poi continuato, deve essere considerata responsabile per aver ”diffuso questa piaga nel mondo”.
”Il governo cinese e l’Organizzazione Mondiale della Sanità’, che e’ virtualmente controllata dalla Cina, hanno dichiarato falsamente – ha aggiunto Trump – che non c’erano prove della trasmissione da persona a persona e più’ tardi che le persone senza sintomi non trasmettono il virus”. In un discorso che ha in gran parte ignorato i principali temi in discussione in questi giorni, dalla crisi sociale e economica provocata dal Coronavirus nei più poveri alle sfide al multilateralismo, Donald Trump non ha perso l’occasione per accusare il grande rivale asiatico di inquinare gli oceani con le plastiche inquinanti e l’atmosfera con le emissioni di mercurio tossico: ”Dopo il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi – ha sostenuto – l’America ha ridotto le emissioni di ossido di carbonio più’ di tutti gli altri Paesi, mentre la Cina ne emette il doppio”.
A tratti, inframmezzate tra le lodi nei confronti della ”più’ grande economia della Storia” costruita in tre brevi anni, e il compiacimento per i successi in politica estera, a cominciare dall’accordo di pace tra Israele, gli Emirati Arabi e il Bahrein, le parole di Trump sono potute perfino apparire minacciose: ”L’America persegue il suo destino di Paese pacificatore. Ma e’ pace attraverso la forza. Siamo più’ forti che mai, le nostre armi sono a un livello di avanzamento che non avevamo mai visto prima e preghiamo Dio di non doverle mai usare”.
La risposta , ovviamente, non si e’ fatta attendere. In un lungo discorso, che non ha mai nominato il presidente americano, ma non ha certo evitato le frasi polemiche, Xi Jinping ha colto l’occasione, pochi minuti dopo, per presentarsi come uno strenuo difensore dei valori fondanti delle Nazioni Unite e del multilateralismo. E come una potenza in grado di sostituire, con il suo appoggio anche economico a diverse iniziative, il Paese rivale che si sta isolando. In tono pacato, ha ripetuto i concetti che aveva già espresso nel discorso pronunciato in occasione delle celebrazioni del settantacinquesimo anniversario dell’Onu: ”L’umanita’ e’ entrata in una nuova era di interconnessione, in cui i Paesi condividono gli interessi e hanno un futuro comune”. Per accontentare le aspirazioni di 7 miliardi di persone, ha spiegato, la Cina e’ pronta a promuovere la cooperazione, a sostituire il conflitto con il dialogo e la coercizione con le consultazioni, pur proteggendo i propri interessi. ”Nessun Paese ha il diritto di dominare gli affari mondiali,controllare il destino degli altri, e tenersi per se tutti i vantaggi dello sviluppo’ – ha detto il presidente cinese – e ancor meno deve avere il permesso di fare quello che piu’ gli piace e di essere l’egemone,il bullo o il padrone del mondo”. Alle accuse di Trump di ”abusi commerciali” , ha risposto con un invito al libero scambio e all’apertura dei mercati, ma ha anche ignorato i temi scabrosi del rispetto dei diritti civili.
Adesso, a giudizio di gran parte degli esperti, saranno i prossimi giorni a definire i confini di un conflitto che si presenta sempre più aspro.Per Donald Trump, impegnato soprattutto nella sua difficile campagna elettorale, i problemi principali sono ovviamente altri. Neppure una Casa Bianca distratta, tuttavia, può ignorare una Cina sempre più decisa a presentarsi alla comunità internazionale come una strenua sostenitrice del multilateralismo e anche ad occupare, in funzione di questo, un numero sempre maggiore di posizioni di potere all’interno delle organizzazioni che fanno capo alle Nazioni Unite. E neanche può sottovalutare l’isolamento in cui si e’ trovata dopo aver fatto, nel corso degli ultimi due anni e mezzo, ben 17 diversi passi di distacco dalla comunità internazionale, a cominciare dal ritiro dagli accordi di Parigi, e che e’ apparso evidente solo pochi giorni fa con il voto al Consiglio di Sicurezza sulle sanzioni contro l’Iran.
Gia’ da gennaio, il Dipartimento di Stato ha assegnato a un alto funzionario il compito di ”contrastare l’influenza maligna” della Cina al Palazzo di Vetro, mentre l’ambasciatrice Usa Kelly Craft si e’ assunta l’impegno di avvicinare i Paesi che condividono le posizioni americane. I risultati ottenuti, tuttavia, sono stati minimi.
Se per gli Stati Uniti la posizione non e’ facile, pero’, anche la Cina ha in questo momento una situazione internazionale delicata. Molte democrazie che in passato avevano sostenuto la modernizzazione e lo sviluppo del Paese sono ora inquiete a causa della repressione a Hong Kong e delle violazioni dei diritti civili dei musulmani nello Xinjiang. Le tensioni commerciali con l’Europa stanno diventando sempre piu’ forti e le manovre militari nel Mar della Cina spaventano i Paesi asiatici. Per i diplomatici che hanno ascoltato con aria perplessa le parole pronunciate in video dei due leader, insomma, e’ rimasta adesso una scelta molto concreta da presentare ai propri governi. E non sara’ una scelta facile.
Nell’immagine interna di Manuel Elias, Trump e Duterte quando si poteva parlare in presenza