Palloni senza retorica

Europei di calcio. Se il fischio d’inizio di una partita della nazionale  fa diventare sordi, ciechi e irrazionali

di Raffaele Crocco

Scrivere il giorno dopo la vittoria netta dell’Italia – 3 a 0 – nella partita d’esordio contro la Turchia sa di bestemmia, lo so. So anche, che farlo significa indossare la giacca del guastafeste. Ma mettere in evidenza le tante, troppe contraddizioni che questi Europei di calcio portano alla luce è necessario, proprio per continuare ad amare il calcio e lo sport. La retorica dice: lo sport è portatore di valori sani, educa le donne e gli uomini ad essere migliori. Non è vero. Lo sport è solo lo specchio di ciò che siamo individualmente e collettivamente tutti i giorni. Se siamo menefreghisti, irresponsabili, crudeli, anche lo sport lo diventa. Gli esempi sono tanti. Dalle partite di calcio nella ex Jugoslavia degli anni ’90, trasformate nelle prove generali della guerra, alle Olimpiadi organizzate da Hitler nel ’36 per magnificare la sua idea del Mondo, senza che nessuno dicesse nulla.

Lo sport è una macchina perfetta per ogni regime e per qualsiasi sistema. Alimenta convinzioni e copre ingiustizie. Pensate all’oggi, al tema della diseguaglianza economica. Il calcio è l’esempio peggiore della nostra cecità. Un operaio metalmeccanico di trent’anni, ad esempio un saldatore, guadagna – al netto delle possibili casse integrazioni o licenziamenti – circa 20mila euro all’anno. Un giocatore di calcio di trent’anni di buon livello, di serie B ad esempio, di euro ne guadagna attorno ai 100mila. Un giocatore della nazionale, uno di quelli che in questi giorni ci fanno esultare, di euro ne guadagna, all’anno, almeno tre milioni. Il saldatore per incassarli dovrebbe lavorare almeno 150 anni, 8 ore per cinque giorni alla settimana.

C’è un rapporto reale, fra le due cose? No, non c’è. Per usare parametri comuni, alle spalle di questa differenza non c’è un titolo di studio differente e più impegnativo per il calciatore rispetto all’operaio, anzi. Non c’è una maggiore preparazione tecnica, perché il saldatore si addestra esattamente come il calciatore si allena. Non c’è una evidente “maggiore produzione di ricchezza” del calciatore, anzi. La ricchezza prodotta dal calciatore – plusvalenze di bilancio, diritti tv, merchandising, vendita di biglietti allo stadio – è in parte virtuale. Il saldatore, dal canto suo, produce beni concreti, che vanno sul mercato e in taluni casi producono la ricchezza che consente al proprietario della fabbrica di acquistare la società di calcio. Insomma, il meccanismo è chiaramente distorto, spinge il denaro in modo artificioso e eccessivo dal lato irreale – il mondo del calcio, staccato dalla realtà quotidiana – negandolo a chi lavora quotidianamente, producendo ricchezza, cose.

La diseguaglianza, però, non ci ferma qui. Perché stiamo parlando di calcio e di calcio degli uomini. Cosa voglio dire? Che, ad esempio, ci sono altri sport considerati nobili e vincenti che non danno alle atlete e agli atleti le medesime possibilità. In Italia, uno schermitore o una schermitrice di livello, per vivere di sport è costretta ad indossare la divisa di un qualche corpo militare dello Stato. Altrimenti non ce la fa, non può mantenersi. E la scherma italiana è la disciplina sportiva più vincete al Mondo, infinitamente più del calcio. Nell’atletica, un atleta di buon livello internazionale, tipo il saltatore Gianmarco Tamberi, oro mondiale indoor e europeo assoluto, vive con lo stipendio della Guardia di Finanza e i premi della Federazione: nelle stagioni buone, al netto dagli infortuni, può arrivare a 100mila euro, vincendo i titoli però.

Non finisce qui, perché se si rimane poi nel mondo del calcio, ci sono le storture rispetto al calcio femminile. Qui siamo anche all’anticostituzionalità evidente, perché non ci sono solo mostruose differenze economiche, ma alle ragazze è semplicemente impedito di diventare professioniste. La legge non lo prevede, possono solo essere delle dilettanti “rimborsate” per le loro prestazioni.
Sono solo alcune delle ingiustizie acquattate dietro ad una partita della nazionale. Potremmo aggiungere i silenzi per i diritti umani negati: sarà davvero giusto andare a giocare i Mondiali del 2022 in un Paese, il Qatar, che nega i diritti alle donne, tanto da non volere delle arbitre? Che imprigiona il dissenso e sfrutta la mano d’opera straniera? E’ davvero sensato regalare ad un Governo del genere una vetrina internazionale così importante?
Sarà un errore ripetuto, perché nel 1978 andammo a giocare i Mondiali nell’Argentina dei generali, proprio accanto ai luoghi dove migliaia di giovani venivano torturati e uccisi.

Il fischio d’inizio di una partita della nazionale ci fa diventare sordi, ciechi e irrazionali. Per molti versi è giusto ed è bello così. Smettiamola, però, di costruire attorno e dietro una squadra di calcio un mondo di valori che non esistono. La nazionale di calcio non rappresenta il Paese. Non rappresenta migliaia di giovani donne e uomini preparati, laureati, ma disoccupati. Non rappresenta l’integrazione ancora fallita degli italiani di seconda generazione, picchiati per strada se neri di pelle. Non rappresenta la crisi del nostro sistema sanitario, in ginocchio per il Covid19, della nostra pubblica amministrazione burocratizzata alla follia, del nostro sistema imprenditoriale impantanato. Non rappresenta nemmeno i “valori sani dello sport”. Quelli ci sono molto, molto di più in un gruppo di bambine e bambini che corrono dietro ad un pallone all’oratorio.

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