Pallottole italiane in Myanmar: la risposta della Farnesina

La società civile incontra il sottosegretario Di Stefano per discutere della crisi nel Paese asiatico e delle responsabilità dell'Italia

Comunicato stampa congiunto dopo che il 12 maggio i rappresentanti di Amnesty International Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo, Italia Birmania-Insieme, Osservatorio Opal e “Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo” hanno avuto un incontro online con il Sottosegretario agli Affari Esteri, On. Manlio Di Stefano.

Dal 1° febbraio, giorno del colpo di stato militare, almeno 769 manifestanti sono stati uccisi dall’esercito e migliaia di persone – compresi i dirigenti politici civili eletti, giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti – sono state arrestate. Dopo aver esaminato oltre 50 filmati sulla repressione in corso, Amnesty International ha concluso che l’esercito di Myanmar sta ricorrendo a tattiche letali impiegate normalmente in scenari di guerra. Molte delle uccisioni costituiscono esecuzioni extragiudiziali. Durante l’incontro sono stati analizzati i rapporti tra Italia e Myanmar e affrontato il tema dell’utilizzo di bossoli prodotti dalla azienda italo-francese Cheddite da parte delle forze di sicurezza birmane.

Agli inizi di marzo, a seguito dell’attacco della polizia birmana ad un’ambulanza, intervenuta a sostegno dei manifestanti feriti, sono infatti stati ritrovati nell’abitacolo dell’ambulanza dei bossoli di marca prodotti dall’azienda italo-francese Cheddite: bossoli simili sono stati inoltre ritrovati anche in almeno quattro località, sempre a seguito di azioni repressive da parte dell’esercito nei confronti idei manifestanti.

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Considerato che nei confronti del Myanmar vige un embargo europeo ormai dagli inizi degli anni Novanta e che – secondo i dati ufficiali delle Relazioni del governo italiano sulle esportazioni di armamenti e i dati del commercio estero dell’ISTAT – non risultano esportazioni dirette dall’Italia al Myanmar di “armi e munizioni” né di tipo militare né di tipo comune, è stato sollevato il problema di una possibile “triangolazione” attraverso un paese intermediario. Dalle ricerche delle nostre associazioni risulta che l’azienda Cheddite abbia avuto rapporti commerciali con l’azienda turca Yavasçalar (Yaf), che da circa vent’anni produce proiettili e munizioni per armi leggere come sussidiaria del colosso Zsr Patlayici Sanayi AS, ed inoltre che nel 2014 (anno riportato sulle cartucce ritrovate in Myanmar) vi siano state esportazioni di munizioni dalla provincia di Livorno (dove ha sede la Cheddite) alla Turchia e successivamete dalla Turchia al Myanmar.

Pur trattandosi di esportazioni di munizioni di tipo “comune” – e che quindi esulano dai controlli di UAMA e del Ministero degli Esteri – le nostre associazioni hanno sollecitato il sottosegretario Di Stefano a mettere in atto le necessarie verifiche. Nell’incontro è stata inoltre ribadita da parte delle associazioni della società civile la necessità di migliorare a livello italiano ed europeo il sistema di controllo dell’attuazione dell’embargo, ed è stata avanzata la proposta di estenderne la partecipazione anche ad altri paesi.

Il Sottosegretario Di Stefano si è fatto carico di contattare e coinvolgere il Ministero degli Interni, titolare dei controlli sulle esportazioni di armi e munizioni comuni, per verificare le criticità sollevate. Ha infine sottolineato l’impegno italiano per un rafforzamento delle sanzioni in sede europea e la necessità, considerata la gravità della situazione, che la giunta militare sia esclusa da qualsiasi incontro internazionale.

In copertina: foto di Svetva Portecali

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