di Alessandro Graziadei
A scavare ancora più in profondità quella trincea politica, economica e sociale che separa dall’inizio della guerra in Ucraina la Russia dall’Occidente, ci ha pensato ancora una volta il presidente Putin in persona, che ha proposto alla Duma di approvare un nuovo progetto di legge sulla “denonsatsija” (denuncia-rinuncia) degli accordi internazionali derivanti dalla Convenzione sulla responsabilità penale per la corruzione.
La Russia è il primo dei 48 Paesi che l’hanno sottoscritta nel 1999 a chiamarsi fuori dalla Convenzione, aumentando oltre all’isolamento internazionale, anche il grado di corruzione interna al Paese, che rischia di diventare una “norma sociale” accettata e un comportamento non passibile di punizioni. La difesa a livello internazionale del sistema corrotto degli oligarchi è una delle vere ragioni che hanno spinto il Governo russo a prendere le distanze dalla “depravazione dei costumi occidentali”, che costringeva le élite di Mosca a sottoporsi a norme molto rigide per essere ammesse nei mercati internazionali. Una sorta di enorme e tollerata “mordida” (per dirla alla messicana) di Stato, fatta di tangenti, favori politici, finanziamenti privati e ricatti, che Putin ha sempre difeso in patria dalle proteste animate dal Fondo anti-corruzione di Aleksej Naval’nyj, che oggi è detenuto nel carcere di Melekhovo, in condizioni di salute sempre più precarie. Nella nuova legge si precisa che il motivo del rifiuto della convenzione sta nell’emarginazione della Russia dal “GRECO”, il Group of States Against Corruption, decisa dal Consiglio d’Europa il 23 marzo scorso, un mese dopo l’invasione dell’Ucraina.
I membri del Greco sono i Paesi che hanno firmato nel 1999 gli accordi dalla Convenzione sulla responsabilità penale per la corruzione, ma l’aggressione ha privato la Russia del diritto di valutare le attività degli altri Paesi. Per questo la nuova legge, che entrerà in vigore tra tre mesi, denuncia la “discriminazione” nei confronti della Russia e “difende gli interessi nazionali” dalle “false accuse” nei confronti dei suoi funzionari, politici e imprenditori. Si mette fine in questo modo anche a tutte le inchieste internazionali contro le malefatte dell’oligarchia russa, dopo aver soffocato e perseguitato a livello nazionale ogni mezzo d’informazione che le ha denunciate con leggi sugli “agenti stranieri” e la chiusura delle associazioni attive in campo civile contro il malaffare che caratterizza i reciproci scambi di favori tra politici e oligarchi. Gli ultimi scandali nelle scorse settimane erano stati la denuncia di fondi segreti appartenenti alla famiglia del governatore di San Pietroburgo, Aleksandr Beglov, e la scoperta di proprietà nascoste per svariati milioni del neo comandante delle truppe russe in Ucraina, il generale Sergej Surovikin. Ora queste inchieste, come le campagne contro i “palazzi di Putin” e le “ville di Medvedev” o il lusso sfrenato di tanti altri potenti oligarchi saranno messe in ombra dalla nuova ondata d’orgoglio nazionale provocato dalle sanzioni internazionali, che al netto delle coraggiose proteste di una parte dei cittadini russi e della società civile, finirà probabilmente per offrire a Putin un’ulteriore arma contro il dissenso interno già provato dalle severe leggi varate negli scorsi mesi.
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*In copertina foto di Valery Tenevoy su Unsplash