di Raffaele Crocco
Torna ogni anno, da 74 anni. Negli ultimi tempi c’è da chiedersi se continuerà a tornare. E’ incredibile come il senso del 25 Aprile venga fatto sbiadire. Festa della Liberazione, la chiamiamo così ed è il nome giusto. Quel giorno lì – con buona pace dei nostalgici giovani e vecchi– hanno vinto i buoni. Cioè noi. Il 25 aprile del 1945 ci siamo lasciti alle spalle 23 anni di fascismo, cinque anni di guerra insensata e due anni di occupazione nazista e straniera.
Mica poca roba. Per riuscirci qualche migliaio di persone, essenzialmente giovani donne e giovani uomini, hanno deliberatamente deciso di rischiare la pelle. Anche questo: notevole. Mano a mano che i protagonisti di quella storia se ne sono andati, qualcun altro – complici la nostra indifferenza e la nostra stupidità – ha iniziato a raccontarci che questa Festa doveva essere la festa di tutti, della riconciliazione nazionale.
Non sono d’accordo
Questa Festa è la Festa di chi crede nell’antifascismo ed è contro ogni forma di dittatura. E’ la Festa di chi fa della democrazia – non solo quella liberale, per carità – il proprio punto di riferimento. E’ la Festa di chi sceglie di stare sempre in modo granitico e senza compromessi dalla parte dei Diritti Umani. E’ la Festa di chi decide di lottare sino a quando avrà fiato per la dignità del lavoro e del salario, per la libera circolazione degli esseri umani, per la ridistribuzione della ricchezza, delle risorse, per la parità dei diritti, per la libertà di pensiero, azione e stampa.
E’ la Festa di chi vuole la solidarietà internazionale, di chi pensa che la cooperazione internazionale sia uno strumento intelligente per creare sviluppo, dignità e benessere a ogni individuo e quindi a tutti i popoli del Pianeta. E’ la Festa di chi pensa che oggi e domani la Pace sia l’unica scelta intelligente possibile. E’ la Festa di chi crede che la sicurezza sia nel risolvere le questioni sociali, garantendo ad ogni cittadino salute, scuole, lavoro, pensioni, stato sociale, libertà di pensiero e movimento. E’ la Festa di chi pensa che la democrazia non sia una delega in bianco data a chi viene votato, ma sia partecipazione e lavoro costante, quotidiano, di confronto e controllo. E’ la Festa di chi non vuole un Paese governato dai prefetti o dalle armi.
Come vedete, non è la Festa di tutti. Il ministro Salvini lo ha capito e ha annunciato che non festeggerà. E’ giusto: lui non c’entra nulla. Non vogliamo in piazza le bandiere di chi non ci crede, non ci servono. Non vogliamo “volerci bene” a tutti i costi. Soprattutto, non vogliamo essere tolleranti con chi ha fatto dell’intolleranza la propria regola di vita.Vogliamo che il mondo creato da quel 25 aprile 1945 sia il nostro mondo quotidiano e non vogliamo che i cattivi – quelli battuti già una volta, 74 anni fa – tornino grazie alla nostra tolleranza, al nostro essere democratici, al nostro non saperli fermare.
Vogliamo essere partigiani, cioè di parte, sempre e solo dalla parte della libertà, della democrazia, della Pace. Per tutti gli altri, oggi, non può essere festa.