La redazione
Sono molti gli aspetti e i possibili scenari che si aprono dopo l’attacco statunitense alla base militare siriana avvenuta questa notte.
59 missili lanciati da due navi americane di stanza nel Mediterraneo hanno colpito la base nella provincia di Idlib, dalla quale si ipotizza sia partito l’attacco con armi chimiche di martedì 4 aprile. L’attacco militare è il primo dall’insediamento di Trump.
Ma prima che una mossa militare quella di questa notte è una mossa politica. Con questa azione è evidente l’atteggiamento del neo presidente Usa: il ritorno ad una fase superata della politica internazionale che vedeva negli Stati Uniti i ‘gendarmi’ dell’ordine pubblico internazionale.
E in questo vecchio ma nuovo ruolo statunitense anche gli alleati non esistono, o meglio sono solo funzionali al momento e alla situazione. Con la Cina, per esempio, si tenta di mostrare i muscoli sotto il punto di vista economico, nel Vicino Oriente sotto quello militare.
La politica di Obama era stata del tutto diversa. L’ex presidente si era infatti concentrato sul Pacifico e sui suoi rapporti con la Cina e il Giappone, mantenendo una sorveglianza solo di facciata con il Vicino Oriente. Con Trump, invece, la differenza è e sarà abissale.
L’attacco di questa notte fa sì che si ridefiniscano gli equilibri in campo. Le reazioni sono state infatti compatte ma suddivise in due filoni. Il mondo sunnita ed Israele schierato dalla parte degli Stati Uniti e quello sciita (Iran in testa) al fianco di Russia ed Assad.
Con questa mossa, quindi, la già forte spaccatura del mondo islamico potrebbe farsi ancora più profonda.
In pochi giorni i ‘muscoli’ di Trump sono stati mostrati anche nei confronti di Iran e Corea del Nord. Contro lo stato di Pyongyang il presidente ha minacciato di agire da solo per neutralizzare il regime, anche senza l’appoggio della Cina. E un ragionamento simile vale anche per la potenza nucleare iraniana.
Un altro punto di vista da monitorare è quello della spesa militare, sulla quale gli Stati Uniti hanno già annunciato di incentrare il prossimo summit Nato atteso per il 25 maggio.
Il riarmo, infatti, mostra come sempre due aspetti: chi si riarma lo fa sia per riaffermare il proprio ruolo, che per usare, prima o poi, le armi che ha acquistato.
L’investimento in spesa militare, infatti, non è uno di quelli destinati a durare nel tempo.
Nel ragionamento è evidente che c’è un grande assente: l’Unione Europea. Fresca dei festeggiamenti per i sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma, la compagine europea si conferma ancora una volta inesistente e incapace di proporre soluzioni in politica internazionale, anche nel caso in cui lo scenario di guerra sia proprio alle porte della ‘fortezza’.
E ovviamente le conseguenza di questa incapacità pesano e il popolo siriano è l’unico vero sconfitto.