Siria, perché non ci crediamo

Dopo 500mila morti in una guerra senza fine, improvvisamente qualcuno decide di punire Assad. Una riflessione e qualche proposta dopo il blitz in Siria

di Raffaele Crocco

E’ una lunga litania di non ci credo.

Non ci credo che lo sconfinamento di due jet turchi sui cieli greci la scorsa settimana, con un aereo ellenico caduto in mare mentre li intercettava, sia casuale o sia un episodio isolato.

Non ci credo che i missili lanciati dallo Yemen su Riad nelle ultime settimane non siano collegati al braccio di ferro fra Arabia Saudita e Iran e siano estranei al confronto che gli Usa, alleati dell’Arabia, hanno nell’area e nel resto del mondo con la Russia, alleata dell’Iran.

Soprattutto, non ci credo che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia abbiano deciso di colpire la Siria, alleata dell’Iran, alleata della Russia, perché inorriditi per l’uso dei gas su civili, proprio mentre  nel Vicino Oriente si definiscono ruoli, poteri e interessi che li escludono sempre più dall’area.

Non ci credo che Trump voglia all’improvviso punire Assad dopo aver evitato – come Francia e Gran Bretagna per altro e come tutta l’Unione Europea per giunta- di aiutare chi chiedeva la democrazia in Siria e dal 2012 combatteva per questo.

Non  ci credo che solo la nostra distrazione abbia premesso a Erdogan di massacrare impunemente i curdi, che chiedono la sola cosa logica che un popolo possa chiedere: la libertà. Curdi che per anni, ricordiamolo, abbiamo usato come carne da macello per fermare il cosiddetto Califfato in Siria e Iraq.

Infine, non ci credo che far parte della Nato – che è una alleanza difensiva, solo difensiva, dannatamente difensiva per quanto ne sappiamo – ci obblighi a prestare logistica e ausilio a chi bombarda un’altra terra, soprattutto se non siamo stati aggrediti e siamo privi di un mandato delle Nazioni Unite.

Siccome non credo a tutto questo, credo che quello che sta accadendo nel Vicino Oriente sia l’ennesima, immensa, porcata. Una porcata commessa con leggerezza, arroganza e con la giusta dose di spirito criminale da Paesi che pensano ancora di determinare le sorti del mondo e se ne fregano, in realtà, di chi il mondo lo abita.

Credo che il bombardamento della Siria sia l’ennesima prova della superficialità dei governi europei, incapaci di capire come intervenire in un’area strategica vicino a casa, indifferenti alle richieste di giustizia e democrazia di popoli e genti, succubi delle scelte di chi genera continuamente nemici – intendo i comandi Nato e il presidente Trump – solo per dimostrare di esistere.

Dobbiamo stabilire dei punti e farli diventare fermi: non sono gli Usa, la Russia, l’Iran o l’Europa a dover o poter  decidere cosa fare, se intervenire. E’ la comunità internazionale che deve indagare. Deve capire se il dittatore Assad ha usato o meno armi chimiche e valutare se e come sanzionarlo. Avendo l’accortezza – magari – di sanzionare lui e non tutti i siriani. Se non torniamo a chiedere il rispetto del diritto internazionale, se non troviamo il modo per ridare  – o forse per dare – un ruolo vero alle Nazioni Unite vuol dire che la grande paura della guerra totale, definitiva, distruttiva è passata. E questo è il vero, grande, pericolo che corriamo: dimenticare. Dimenticare le stragi, gli orrori,. Dimenticare le migliaia di armi atomiche pronte a colpire. Dimenticare i diritti che abbiamo stabilito come inviolabili per ciascun essere umano e per ogni popolo.

Dobbiamo obbligare la politica, la nostra politica, quella generata dalla democrazia e quindi da noi, a lavorare in quella unica direzione. E’ l’unica strada che abbiamo. Non si tratta di pacifismo o di bontà: a questo punto si tratta di sopravvivenza.

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