“Quanto accade in Uganda purtroppo si osserva in molte parti dell’Africa: un’espansione dello jihadismo che vuole colpire degli obiettivi sempre più specifici e simbolici, come gli studenti”. Lo ha detto a Radio Vaticana con Voi Alessandra Morelli, delegata dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) dal 1992 al 2021. “Reti islamiste che dialogano tra loro – ha aggiunto – per espandersi sul territorio e diffondere la loro ideologia, ed è esattamente quanto sta succedendo in Uganda”. L’analisi, affidata alla Radio del Vaticano, commenta l’attentato terroristico di venerdì 16 giugno che ha causato almeno 41 morti, numerosi feriti e un numero imprecisato di studenti rapiti. L’atto si è consumato a Mpondwe, città dell’Uganda vicina al confine con la Repubblica Democratica del Congo. Ad essere assalita una scuola di cui il dormitorio è stato dato alle fiamme. Domenica scorsa il Papa ha definito l’attentato “un attacco brutale”.
L’attentato terroristico viene attribuito dalle forze di sicurezza locale alle Forces démocratiques alliées o Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo terroristico islamista nato nella Repubblica Democratica del Congo ma che può contare su miliziani attivi anche in Uganda anche se l’attività principale è nella Rdc. Un drammatico precedente si verificò nel 1998, quando 80 studenti vennero uccisi con un incendio appiccato nei locali in cui dormivano. Dal 2015, l’Adf ha subito una radicalizzazione dopo l’incarcerazione del suo leader Jamil Mukulu e l’ascesa al suo posto di Musa Baluku. Nel 2019, il gruppo si è diviso: una parte è fedele a Mukulu, mentre un’altra si è fusa con Baluku nella provincia dell’Africa centrale dello Stato islamico.
(Red/Est)
In copertina una mappa dell’Uganda dell’Onu